EZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA SEZIONE A
Case n. 9109/2015 of 28/07/2015

Case n. 9109/2015 of 28/07/2015
RG n. 52997/2010

 


REPUBBLICA  ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA “A”


Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Marina Tavassi, ha pronunciato la seguente

 

 



SENTENZA

 

nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione del 21 luglio 2010 notificato da:
BT Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore (detto Rino) Caiazzo e Daniele Pilla ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Milano, Via Ariosto 6, giusta delega in atti

 



- attrice -


contro

 

Vodafone Omnitel n.v. (ora Vodafone Omnitel b.v.), rappresentata e difesa dagli avv.ti Prof. Mario Libertini, Alessandro Boso Caretta e Stefano Modenesi ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Via Casati 1, giusta delega in atti



- convenuta -

 

OGGETTO: azione antitrust follow on - risarcimento del danno



CONCLUSIONI

 

All‟udienza di precisazione delle conclusioni del 10 dicembre 2014 i procuratori delle parti concludevano come segue.
Conclusioni di BT Italia S.p.A.:
BT Italia, richiamato integralmente tutto quanto già dedotto ed eccepito in atti, rilevato che la relazione del CTU presenta errori sostanziali e non ha risposto a tutti i quesiti postigli, chiede che
il Giudice, respinta ogni contraria istanza, voglia disporre la rinnovazione della CTU con diverso consulente d‟ufficio, e comunque:
In via pregiudiziale
- Ai sensi dell‟art. 267 TFUE, disporre rinvio della presente controversia alla Corte di Giustizia sottoponendole il seguente quesito:
“Dica la Corte se, ai sensi del diritto dell’Unione Europea, nei casi di abuso di posizione dominante per discriminazione da compressione dei margini in cui il concorrente vittima dell’abuso abbia acquistato componenti intermedi (beni o servizi) dall’autore dell’infrazione, il concorrente danneggiato può chiedere solo il risarcimento nella misura della riduzione del suo margine di guadagno (lucro cessante), eventualmente inclusivo del mancato guadagno per perdita di volumi, o anche l’aumento dei costi a suo carico generato dall’infrazione (danno emergente, denominato anche danno da overcharge)”.

In ogni caso
    1. accertare e dichiarare la responsabilità di Vodafone ai sensi dell‟art. 102 TFEU e dell‟art. 2043 c.c.;
    2. condannare Vodafone a risarcire a BT Italia la somma di € 264,29 milioni per il danno sofferto in termini di differenziale di prezzo di terminazione ed in conseguenza della violazione dell‟obbligo imposto dalla normativa sulla concorrenza e quella regolatoria che impone a Vodafone di offrire la terminazione all‟ingrosso a prezzi orientati ai costi senza operare discriminazioni tra proprie divisioni commerciali e concorrenti;
    3. in via alternativa a quanto richiesto sub 2, condannare Vodafone al risarcimento del danno sofferto da BT Italia in termini di costi totali del servizio di fonia fisso-mobile non remunerati dai relativi ricavi (“prezzo negativo” o danno emergente o perdita monetaria pari ad € 64,49 milioni) oltre al mancato margine di profitto, nella misura complessiva di € 264,29 milioni o quella diversa somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa;
    4. inoltre, condannare la convenuta a risarcire a BT Italia la somma di € 7,55 milioni per il danno di cui al precedente punto 2 relativamente al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, ovvero nella maggiore o minor somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa;
    5. nonché condannare la convenuta a risarcire a BT Italia € 7,1 milioni per danno da perdita di
chance.
Tutte le predette somme devono essere maggiorate degli interessi legali e rivalutazione dal giorno della domanda fino alla data di effettivo soddisfo.
In subordine, valutata la sussistenza di fondati motivi per discostarsi dalle conclusioni cui giunge la relazione del CTU nel calcolo del danno sofferto da BT Italia, voglia il G.I.:
    6. relativamente al danno di cui al punto 2, condannare Vodafone alla maggior somma ritenuta di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa, tenendo conto dei limiti denunciati presenti nella relazione del CTU e consistenti nel non aver calcolato il danno da overcharge con riferimento ai costi effettivi di Vodafone e comunque nell‟aver stimato tale danno ipotizzando erroneamente che, in presenza di tariffe di terminazione all‟ingrosso più basse, BT Italia avrebbe trasferito l‟80% di tale risparmio ai suoi clienti, beneficiando solo del 20% della riduzione del costo di terminazione on-net, ovvero assumendo erroneamente che, nel caso in cui Vodafone avesse praticato prezzi al dettaglio più elevati, BT Italia avrebbe seguito tale incremento solo in misura del 20%, oltre a € 7,55 milioni, ovvero la maggiore o minor somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa per il danno relativo al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, e € 7,1 milioni per danno da perdita di chance.
In via ulteriormente gradata, voglia il G.I.
    7. condannare Vodafone al risarcimento in misura pari al danno integrale massimo identificato nella relazione del CTU in base alla ponderazione del traffico peak/off-peak e con costi commerciali pari al 20% dei costi di rete, senza applicare alcuna riduzione percentuale, e quindi nella misura di € 128.438.370, oltre a € 7,55 milioni per il danno relativo al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, ovvero la maggiore o minor somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa per il danno relativo al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, e € 4.345.988 per danno da perdita di chance come calcolato dal CTU, maggiorati di interessi legali e rivalutazione dal giorno della domanda fino alla data di effettivo soddisfo.
In ogni caso, si condanni Vodafone al pagamento integrale delle spese di giudizio.
Conclusioni di Vodafone Omnitel n.v.:
Vodafone Omnitel n.v., trasformatasi con decorrenza dal 16 dicembre 2013 in Vodafone Omnitel b.v. per atto del 13 dicembre 2013 del Notaio Johannes Daniel Schoonbrood di Amsterdam (Olanda) iscritto in data 20 dicembre 2013 (nel prosieguo "Vodafone" o "Vodafone Omnitel"), rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Mario Libertini, Alessandro Boso Caretta e Stefano Modenesi, richiamata ogni propria domanda, eccezione e difesa, precisa come segue le proprie
Conclusioni
Voglia, l‟Ecc.mo Tribunale adìto, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa:
in via pregiudiziale e/o preliminare
    a) dichiarare inammissibili o comunque improcedibili e prescritte le domande avversarie; in via principale nel merito
    b) rigettare tutte le domande formulate dall‟attrice in quanto infondate.
Ci si riporta alle istanze istruttorie articolate con la memoria ex art. 183, VI comma, n. 2, c.p.c. dell'11 marzo 2011 e con la memoria ex art. 183, VI comma, n. 3, c.p.c. del 4 aprile 2011, nonché all' istanza di rimessione in termini ex art. 153, co. 2, c.p.c. del 21 marzo 2014.
Con riferimento alle valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio, si insiste nelle deduzioni e nei rilievi svolti nel corso del giudizio, in particolare attraverso le memorie e le osservazioni prodotte dai consulenti tecnici di parte, i rilievi formulati nell'ambito delle riunioni peritali e delle udienze, e le note difensive.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

    1. Con atto di citazione notificato in data 7 luglio 2010, la società BT Italia ha convenuto in giudizio Vodafone dinanzi a codesto Tribunale, instaurando una controversia di natura risarcitoria di tipo follow-on, traente origine dall‟istruttoria dell‟Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Agcm”) nota come procedimento A/357 ed avente ad oggetto comportamenti posti in essere dai tre principali operatori nazionali di rete mobile: Telecom Italia Mobile S.p.A., Wind Telecomunicazioni S.p.A. e la stessa Vodafone. Il 22 dicembre 2010 si costituiva in giudizio Vodafone, la quale eccepiva l‟inammissibilità ed improcedibilità delle domande di BT Italia e ne chiedeva il rigetto in quanto infondate. All'udienza dell'11 gennaio 2011, il Giudice concedeva i termini di legge per il deposito di memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., fissando per la discussione delle eventuali istanze istruttorie l'udienza del 19 aprile 2011. Con ordinanza del 20 maggio 2011, il G.I., a scioglimento della riserva assunta all‟udienza del 19 aprile 2011 rigettava le richieste di prova testimoniale e disponeva consulenza tecnica d‟ufficio, nominando CTU il Prof. Carlo Scarpa, fissando udienza per il giuramento per il 28 giugno 2011 ed invitando le parti a depositare una breve nota sui punti da sottoporre al CTU entro cinque giorni prima dell'udienza. All‟udienza del 28 giugno 2011, il CTU prestava il giuramento di rito e il G.I. formulava i quesiti per i quali veniva disposta la consulenza, aventi ad oggetto, inter alia, la definizione del mercato rilevante, l‟accertamento dell‟effettiva sussistenza dell‟abuso – per il quale uno dei quesiti richiedeva che venisse indicato il costo sostenuto da Vodafone per la fornitura dei servizi di terminazione alle proprie divisioni commerciali – e, in caso affermativo,del danno sofferto da BT Italia, verificando anche se la società attrice avesse traslato in tutto o in parte l‟overcharge (ovverosia l‟extra-costo del servizio di terminazione fisso-mobile) sui clienti finali utilizzando lo strumento del pass-on. Con ordinanza in data 11 ottobre 2011, alla luce del diniego opposto dall‟Agcm a fornire le informazioni e la documentazione richieste dal G.I. su istanza di BT Italia, il G.I. disponeva l'anticipazione dell‟udienza già fissata per il 28 marzo 2012 alla data del 22 novembre 2011. A tale udienza il G.I., considerata la disponibilità manifestata da Vodafone attraverso il proprio CTP a rendere accessibile al CTU la versione riservata della CRI e della sua documentazione contabile, invitava Vodafone a trasmettere detta documentazione al CTU e quest'ultimo a individuare le parti della documentazione utili ai fini dell‟espletamento dell‟incarico e che dovevano essere offerte in visione anche ai difensori ed al CTP di parte attrice. Eseguiti gli accertamenti peritali, il CTU trasmetteva la bozza del proprio elaborato alle parti, le quali formulavano le rispettive osservazioni. BT Italia chiedeva alcune modifiche alla bozza di relazione. Il CTU depositava il proprio elaborato in data 19 dicembre 2012, senza accogliere le proposte di modifica di BT Italia. All‟udienza del 19 dicembre 2012, il G.I. assegnava alle parti termine per note di commento alla relazione fino al 25 gennaio 2013 e fino al 15 febbraio 2013 per repliche. All‟udienza del 16 aprile 2013 BT Italia insisteva nella richiesta di integrazione di CTU. A scioglimento della riserva assunta a tale udienza, con ordinanza 11 maggio 2013 il G.I. disponeva un‟integrazione delle indagini di consulenza chiedendo al CTU, tra l‟altro, di assumere, per la stima del costo di terminazione on-net, i valori già considerati dall‟Agcm e assegnandogli termine fino al 30 settembre 2013 (“Relazione Supplementare”). All‟udienza del 26 novembre 2013, il G.I. assegnava al CTU 90 giorni per il deposito dell‟ulteriore integrazione di consulenza (“Seconda Relazione Supplementare”), invitando il CTU a regolare i termini per eventuali memorie di parte e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all‟udienza del 25 marzo 2014. Con istanza depositata in data 21 marzo 2014, Vodafone chiedeva, previa rimessione in termini ai sensi dell‟art. 153 c.p.c., di essere autorizzata alla produzione in giudizio di alcuni documenti, asseritamente recapitati in forma anonima presso la propria sede di via Lorenteggio n. 240 in Milano. Vodafone riferiva che alcune parti del documento riguardavano aspetti commerciali (e altri accordi) tra BT Italia e Telecom Italia potenzialmente rilevanti ai fini della valorizzazione del danno chiesto da BT Italia. All‟udienza del 25 marzo 2014, Vodafone chiedeva l‟acquisizione agli atti di tale documentazione e, sulla base di quella, un‟integrazione di CTU. BT Italia si opponeva alla richiesta di Vodafone eccependone la tardività, inammissibilità e, comunque, l‟irrilevanza ai fini della decisione. A scioglimento della riserva assunta all‟udienza, con ordinanza del 28 marzo 2014, il G.I. fissava udienza per il 4 aprile 2014 per un confronto sul tema tra le parti ed il CTU. A tale udienza, il G.I. chiedeva al CTU di esaminare i documenti depositati da Vodafone per verificare se contenessero elementi utili ai fini della causa e lo invitava a riferire l‟esito degli accertamenti all'udienza del 29 aprile 2014. A quest‟ultima udienza, anche alla luce delle osservazioni formulate da BT Italia rispetto all‟integrazione dell‟elaborato peritale, il G.I. disponeva un ulteriore supplemento d‟indagine (“Terza Relazione Supplementare”), assegnando termine per il deposito della relazione al 22 settembre 2014 e fissando udienza per la precisazione delle conclusioni per il 1 ottobre 2014. All‟udienza del 10 dicembre 2014 le parti precisava le loro conclusioni. Inoltre, alla stessa udienza, la difesa di BT Italia suggeriva al G.I., nelle more del deposito delle memorie conclusionali e repliche delle parti, di voler esercitare la facoltà prevista dall‟art. 15.1 del Regolamento (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002, richiedendo alla Commissione Europea un parere in merito a due questioni relative all‟applicazione delle regole di concorrenza comunitaria in tema di overcharge ritenute rilevanti ai fini della decisione. All‟esito dell‟udienza il G.I. rigettava la richiesta di parte attrice, riservandosi comunque di valutare l‟opportunità di richiedere motu proprio un parere alla Commissione e assegnava alle parti termini ex art. 190 c.p.c. per memorie conclusionali e repliche. Assolto tale incombente la causa viene in decisione.
    2. Come da conclusioni sopra richiamate, la pretesa di parte attrice si configura come un‟azione risarcitoria per abuso di posizione dominante che sarebbe stato commesso in suo danno da parte di Vodafone in violazione dell‟articolo 102 del TFUE o per condotte illecite e anticoncorrenziali in violazione degli artt. 2598 o 2043 c.c.. Si tratta di un‟azione di tipo follow on poiché, da un punto di vista tanto cronologico quanto funzionale, segue il procedimento A357 (Tele2/Tim-Vodafone-Wind) avviato dall‟Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e si fonda, in particolare, sulla CRI (“comunicazione delle risultanze istruttorie”) del 28 luglio 2006. Nel corso del citato procedimento, Vodafone ha presentato proposte di impegni che sono state accettate dall‟Autorità. L‟accertamento compiuto dall‟Autorità e, concluso con il provvedimento 17131, è stato in seguito confermato dal Tar Lazio (Sent. 2900/08) e dal Consiglio di Stato (Sent. 2438/2011).
Nel procedimento A357 non è stato imputato a Vodafone un comportamento di prezzo eccessivo di terminazione (essendo questo prezzo regolato), bensì un trattamento discriminatorio interno/esterno, onde appare corretta l‟adozione del criterio del margin squeeze cui peraltro BT Italia ha fatto riferimento fin dal principio nell‟atto di citazione (vedi anche le domande formulate in via alternativa nella parte conclusiva di detto atto) e costantemente nel corso dello svolgimento delle operazioni di consulenza.
Il margin squeeze è una forma di abuso discriminatorio corrispondente alla violazione del principio di parità interno/esterno, che crea un‟artificiosa asimmetria concorrenziale, ritenuta secondo parte attrice dalla giurisprudenza quale forma di concorrenza sleale.

    3. Occorre anzitutto analizzare alcune questioni prodromiche alla trattazione della causa.
Si ritiene superata l‟eccezione di parte convenuta volta a veder dichiarata la nullità dell‟atto di citazione per carenza dei presupposti di cui all‟art. 164 n. 4 c.p.c.. Ed, infatti, come già riconosciuto da questo stesso GI, con ordinanza del 20.05.2011, gli assunti contenuti nell‟atto di citazione de quo risultano soddisfare le condizioni di cui al citato art. 164 n. 4 c.p.c. nell‟ottica dell‟azione follow on, ciò anche in ragione delle precisazioni fornite nelle successive memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c. ed ai riferimenti contenuti nella documentazione prodotta fin dall‟atto di citazione, così da rendere le proposte domande e le ragioni di fatto e di diritto che le sostengono articolate in maniera sufficiente, pienamente idonea a farne comprendere la portata ed a consentire alla convenuta di svolgere le proprie difese.
   4. Questo giudice si è altresì già pronunciato, con propria ordinanza del 20 maggio 2011, circa il valore probatorio della CRI. Con tale ordinanza, il G.I. ha infatti rilevato che tanto la CRI quanto il Provvedimento Finale “forniscono quantomeno elementi indiziari a favore della tesi di parte attrice, idonei a fornire quel substrato probatorio che ben può essere sottoposto a verifica tramite gli accertamenti da demandare ad un nominando CTU”. Al riguardo, è utile richiamare il giudizio espresso dalla Corte di Cassazione (Sent. n. 3640 del 13.2.2009 Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro-ANCL c. Inaz Paghe s.r.l.; conformi: Cass. sez. III, n. 5941 e n. 5942/2011) secondo cui il valore di “prova privilegiata” da attribuire ai provvedimenti dell‟Agcm, nei giudizi risarcitori follow on, è da intendersi limitato ai provvedimenti di carattere decisorio, con i quali, definita l‟istruttoria e concluso il contraddittorio con le parti, viene irrogata la sanzione o disposta l‟archiviazione. Tuttavia, se è vero che la CRI rappresenta un atto endoprocedimentale individuale, valido per ciascuna parte, non può ignorarsi quanto dalla stessa CRI risulta a carico di Vodafone, secondo le indagini condotte dall‟Agcm, e quanto emerge dal provvedimento finale sanzionatorio adottato nei confronti di Telecom e Wind (divenuto definitivo come detto a seguito delle sent. 2900/08 e 2902/08 del TAR Lazio e della sent. del Consiglio di Stato depositata il 20 aprile 2011) per comportamenti analoghi a quelli originariamente imputati a Vodafone secondo le risultanze istruttorie contenute nella CRI. Questo giudice ritiene pertanto che la CRI ed il provvedimento n.17131 (pur non destinato alla convenuta Vodafone) offrano quantomeno elementi indiziari a favore della tesi di parte attrice e sono perciò idonei – come detto
– a fornire il necessario substrato probatorio, tanto da aver indotto all‟ammissione della CTU.


    5. Un‟ulteriore questione, oggetto di ampio dibattito tra le parti in corso di causa, riguarda il fatto che il procedimento A357 si sia concluso nei confronti di Vodafone, a seguito dell‟accettazione da parte dell‟Agcm degli impegni presentati, rendendoli obbligatori per la proponente. Pertanto, il provvedimento 17131 che ha concluso il procedimento A357 non ha riguardato direttamente Vodafone. In questo caso, tale circostanza non incide sul valore di elementi indiziari tanto del provvedimento 17131 quanto della CRI del 28 luglio 2006. In tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato nella propria sentenza 2438/2011 dove afferma: “Il Collegio condivide appieno quanto al riguardo ritenuto dal primo giudice laddove, evidenziato che, dopo l’accettazione degli impegni, alcun ulteriore accertamento o approfondimento è stato effettuato nei confronti di Vodafone la cui posizione è stata perciò completamente stralciata, ha comunque osservato che, in generale, la decisione con impegni non comporta infatti alcuna immunità sul piano civilistico ma rende solo più difficile il proficuo esperimento delle azioni risarcitorie. Va parimenti disatteso l’assunto secondo cui con l’accettazione degli impegni proposti da Vodafone l’Autorità avrebbe implicitamente ma necessariamente concluso per la qualificazione di “non gravità” dell’illecito e, conseguentemente, per la non sanzionabilità dell’abuso anche nei confronti delle appellanti”. Non si ritiene pertanto dirimente il fatto che il procedimento A357 si sia concluso nei confronti dell‟odierna convenuta a seguito di accettazione degli impegni dalla medesima proposti e non invece con provvedimento finale dell‟Autorità. Si tornerà sul punto in seguito.
    6. Nel difendersi dalle censure sollevate da parte attrice, la convenuta ha poi eccepito che il comportamento anticoncorrenziale ad essa imputato da BT non potrebbe dare ingresso all‟accertamento della totalità del danno invocato da quest‟ultima, in quanto il relativo diritto non potrebbe trovare in parte tutela per essere maturato il termine prescrizionale di cinque anni, previsto per gli illeciti di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. ed applicabile anche alle fattispecie di illecito anticoncorrenziale, quale indubbiamente prospettato nel caso di specie. Vodafone in particolare insiste nell'eccezione di prescrizione poiché a suo avviso il diritto al risarcimento azionato da BT con l'atto di citazione notificato in data 7 luglio 2010 andrebbe considerato prescritto per i danni occorsi anteriormente al 7 luglio 2005. L'eccezione di Vodafone muove dalle seguenti premesse: agli illeciti concorrenziali si applica la prescrizione quinquennale; il termine decorre dal giorno in cui il soggetto che lamenta di aver subito il danno abbia avuto o abbia potuto avere, usando l'ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del fatto (ipoteticamente) produttivo di danno risarcibile, e quindi, nel caso di BT, non più tardi del giorno in cui è stato adottato dall'Agcm il provvedimento di avvio dell'istruttoria A357 (provvedimento n. 14045 del 23 febbraio 2005, doc. 15 di Vodafone).
Si deve a questo punto rilevare che, con memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c., l‟attrice ha replicato all‟eccezione di prescrizione avanzata da Vodafone provando di aver interrotto la prescrizione in due successive occasioni, ossia con raccomandate A/R in data 10.02.2009 e 18.02.2010 (si veda il documento prodotto sub 10 da BT con i relativi avvisi di ricezione).
Si ritiene interruttiva della prescrizione la raccomandata A/R spedita da BT in data 10 febbraio 2009 e la cui ricezione, adeguatamente provata dall‟attrice tramite avviso di ricezione, è avvenuta in data 13.2.2009. Come noto, infatti, l‟interruzione della prescrizione si determina alla data della ricezione dell‟atto interruttivo da parte del destinatario. Ed, anzi, la Cassazione Civile con propria sentenza n. 13488 del 20 giugno 2011 ha affermato che la produzione in giudizio della lettera raccomandata con relativa ricevuta di spedizione dall‟ufficio postale, anche in mancanza dell‟avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione e da essa, pertanto, consegue la presunzione della sua conoscenza ai sensi dell‟art. 1335 c.c. da parte del destinatario. Dunque, nel caso di specie, l‟interruzione della prescrizione si è realizzata in data 13 febbraio 2009.
Non vi è infatti dubbio alcuno che già con tale prima comunicazione BT avanzava la propria pretesa a vedersi riconosciuto un risarcimento del danno subito a seguito della condotta di Vodafone in quanto riteneva ed affermava “di aver subito un pregiudizio dal comportamento di Vodafone, così come risultante dagli atti del procedimento antitrust A357” (si veda il doc. 10 di BT). A tal riguardo, non ha alcuna rilevanza che BT, nella citata comunicazione, prospettasse una definizione della vicenda in via bonaria, potendosi comunque univocamente dedurre da tale affermazione la propria volontà non solo a denunciare l‟esistenza dei danni, ma altresì a chiederne adeguato ristoro.
Pur considerandosi interruttiva della prescrizione la citata missiva del 10 febbraio 2009, si segnala che nel testo della raccomandata A-R spedita da BT a Vodafone il 18 febbraio 2010 si legge: “con la presente formulo nuovamente, ai fini interruttivi dei termini prescrizionali, richiesta di risarcimento a nostro favore di tutti i danni subiti da BT Italia a causa dei comportamenti posti in essere da Vodafone Omnitel N.V. (…)”. Con ciò ribadendo la finalità sottesa ad entrambe le comunicazioni, ossia la formulazione di una richiesta di risarcimento del danno nei confronti di Vodafone.
Per completezza, è utile ricordare che, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza 2 febbraio 2007, n. 2305), l‟azione di risarcimento del danno anticoncorrenziale si ascrive nel novero delle azioni di cui all'art. 2947 c.c.
. Tale norma va letta in combinato con il disposto dell'art. 2935 c.c., che prevede che il termine di prescrizione per le azioni fondate su un fatto illecito decorra dal momento in cui il diritto possa essere fatto valere. Più precisamente, i giudici di legittimità, pur parlando del danno antitrust come appartenente alla categoria dei c.d. “danni lungolatenti”, hanno precisato che il momento in cui il diritto può essere fatto valere corrisponde al momento percettivo del danno da parte della vittima dell'illecito. La Corte, quindi, ha respinto sia la tesi della compagnia assicurativa, che mirava a retrodatare il momento percettivo dell‟illecito alla data della sottoscrizione della polizza, sia quella dell‟attore, che mirava a giovarsi della data della pubblicazione del provvedimento sanzionatorio del cartello fra le imprese assicuratrici da parte della Agcm, avendo cura di precisare che la decorrenza fissata dal momento di pubblicazione della decisione dell'Autorità avrebbe determinato un ingiusto squilibrio della risposta sanzionatoria in detrimento degli attori, i quali per il risarcimento del danno anticoncorrenziale non avrebbero potuto giovarsi dell'accertamento amministrativo delle autorità nazionali nei casi “stand alone”. La Corte, pertanto, ha interpretato il momento percettivo dell‟illecito come quello in cui può ritenersi, con un sufficiente grado di certezza, che la parte che lamenta il danno abbia potuto avere coscienza di aver subito un danno, soccorrendo a tale determinazione sia elementi presuntivi quali notizie di quotidiani, o circolazione delle informazioni tra gli addetti al settore, sia la qualificazione del soggetto attore nell‟ambito del mercato di riferimento (in tal senso si è già pronunciato questo stesso giudice nelle sentenze 3 aprile 2014, n. 4587/2014 e 15 ottobre 2014 n. 12043/2014).
Nel caso de quo, le parti sono peraltro concordi nel ritenere che il danno sia derivante da illecito extracontrattuale ai sensi dell‟articolo 2043 c.c. e che, pertanto, il diritto al risarcimento ad esso connesso si prescriva in 5 anni. Solo per completezza, si richiama perciò la sentenza con cui la Corte di Cassazione (n. 8110/2013 del 3 aprile 2013) si è espressa in senso contrario alla possibilità di assoggettare alla prescrizione decennale - tipica della responsabilità contrattuale - il diritto al risarcimento danni ex articolo 33 della legge n. 287/1990. La Corte ha affermato che il danno antitrust non scaturisce dalla stipulazione del singolo contratto tramite il quale l‟impresa si è procurata il sovraprofitto, ma dal comportamento anteriore di questa, di cui il contratto costituisce solo il passaggio finale. Da ciò deriva, secondo la Corte, che la condotta anticoncorrenziale si inquadra nell‟ambito della responsabilità precontrattuale. “Ciò che è da escludere – afferma la Corte - è che essa sia assoggettabile alla disciplina tipica dei contratti del settore assicurativo, o di altre figure contrattuali speciali, soprattutto per quanto concerne i termini di prescrizione dell'azione risarcitoria”, ricordando che “la giurisprudenza di questa Corte ha inquadrato la fattispecie di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 33 nell’ambito dell responsabilità extracontrattuale (…) ed ha ritenuto applicabile il termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 cod. civ.” A tale ultimo proposito non ignora questo giudice che con la già citata sentenza n. 8110/2013 (come pure con la sentenza n. 12551 del 22 maggio 2013) la Corte di Cassazione, a differenza della sentenza n. 2305/2007 pure sopra citata, ha indicato un decorso del termine prescrizionale di tipo “oggettivo”, indipendentemente dalla circostanza che il danneggiato sia venuto effettivamente a conoscenza del provvedimento dell‟Agcm e si sia potuto rendere conto di aver subito un danno ingiusto a causa delle condotte anticoncorrenziali accertate e sanzionate dalla stessa Autorità. Non va trascurato tuttavia che entrambi i casi riferiti hanno riguardo ad uno fra i tanti casi del “cartello” assicurativo nel settore r.c. auto, ove i soggetti danneggiati erano gli assicurati e pertanto consumatori del tutto ignari delle dinamiche del mercato e della eventualità che vi fosse stato un accordo vietato fra imprese assicuratrici, idoneo a determinare un indebito aumento del premio a carico degli assicurati. Ciò quantomeno fino al momento in cui tale comportamento e tali accordi erano stati sanzionati dal provvedimento dell‟Agcm. Diversa è la situazione per l'ipotesi in cui il soggetto danneggiato sia un'impresa che operi nel medesimo mercato del preteso danneggiante, cui viene imputato un abuso di dominanza sul mercato. Un simile soggetto non può essere ritenuto estraneo alle dinamiche del mercato e ignaro dell'esistenza del comportamento che mira ad escluderlo o a ridurre i suoi margini di guadagno. È significativo che nel caso Teleunit/Vodafone (sent. 1° ottobre 2013, n. 12227, Giudice estensore Massari), ipotesi analoga a quella di specie, il giudice abbia considerato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno fosse quello quinquennale e iniziasse a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo abbia determinato la modificazione produttiva del danno all‟altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si era manifestata all‟esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (in tal senso, anche, Cass. n. 11119/2013; Cass. n. 26188/2011). Tale momento è stato individuato nell‟avvio del procedimento dell'Agcm (23.2.2005) e, nel caso concreto, la prescrizione non si è determinata, essendo la notifica dell‟atto di citazione intervenuta prima del decorso del termine così considerato.
Si devono infine richiamare i recenti casi Uno Communications/Vodafone (sentenza 3 aprile 2014, n. 4587/2014) e Fastweb/Vodafone (sentenza 15 ottobre 2014, n. 12043/2014) ove questo stesso giudice ha ritenuto che il dies a quo dal quale far decorrere il termine prescrizionale si debba collocare alla data dell‟apertura dell'indagine dell‟Agcm. Ciò in quanto fin dall‟apertura dell‟indagine l‟abuso di posizione dominante originariamente imputato a Vodafone sarebbe divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile per un operatore economico che necessariamente, usando l‟ordinaria diligenza, deve conoscere gli eventi del mercato in cui opera. In subordine, nel caso in parola, si poneva in rilievo il momento della pubblicazione degli impegni in quanto, con la proposizione degli impegni da parte di Vodafone e la successiva pubblicazione degli stessi (ove non si voglia ritenere addirittura con l‟apertura dell'indagine), l‟attrice, che nel caso di specie non era né denunciante né intervenuta nel procedimento, avrebbe potuto avere piena cognizione della fattispecie e della responsabilità imputata a Vodafone, indipendentemente dal successivo provvedimento di accettazione dell‟Agcm.

Non assume poi portata risolvente la diversa indicazione di cui all‟art. 10 della Dir. 2014/104, posto che la stessa deve ancora essere implementata nel nostro ordinamento (entro il 2016) e che la valutazione del caso di specie va fatta de iure condito. D‟altra parte il recepimento di dette indicazioni procrastinerebbe nel tempo il decorso della prescrizione e quindi sarebbe comunque sfavorevole alla tesi qui sostenuta dalla difesa di Vodafone.
Tutto quanto sopra premesso, questo giudice ritiene che la prescrizione sia di durata quinquennale e che il periodo prescrizionale debba iniziare a decorrere dal giorno in cui il danneggiato, con ordinaria diligenza, abbia avuto ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia. Nel caso de quo tale momento sembra potersi far risalire alla data della comunicazione della CRI e, cioè, al 28 luglio 2006, se non addirittura a quella dell‟assunzione del provvedimento di chiusura del procedimento nei confronti di Vodafone (24 maggio 2007) o del provvedimento finale nei confronti delle altre imprese coinvolte (3 agosto 2007). A ciò si aggiunga che, come ricordato, l‟attrice ha posto in essere un atto interruttivo della prescrizione tramite la raccomandata A-R indirizzata a Vodafone del 10 febbraio 2009 (e, successivamente, del 18 febbraio 2010) e ricevuta il 13.2.2009.
Non merita pertanto accoglimento l‟eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta con riguardo ai danni invocati da BT e fatti valere entro il quinquennio rispetto al dies a quo sopra individuato del 13 febbraio 2009. Di conseguenza, l‟esercizio della successiva azione giudiziale è parimenti nell‟ambito del successivo quinquennio.

    7. Ritiene questo giudice di non dover accedere alla richiesta formulata dalla difesa di parte attrice di richiedere un parere alla Commissione Europea né parimenti di disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. Ritiene infatti che sulla base delle indicazioni delle Comunicazioni della Commissione e della giurisprudenza della CGUE, cui in seguito si farà riferimento, vi siano gli elementi idonei a consentire la definizione del caso di specie.
    8. Al fine di introdurre la trattazione nel merito, appare pregiudiziale definire il mercato rilevante rispetto ai fatti di cui è causa. Tale definizione è infatti oggetto di disaccordo tra le parti in causa.
La difesa di BT Italia sin dai suoi primi scritti difensivi ha rilevato come l‟abuso di posizione dominante da compressione dei margini (margin squeeze) sarebbe stato commesso dalla convenuta nel mercato a monte dei servizi di terminazione fisso-mobile sulla rete mobile Vodafone. Ciò sulla base della giurisprudenza formatasi sul caso A357, dal quale il presente giudizio è scaturito, in quanto sia il Tar Lazio (con sentenza 23 gennaio 2008 n. 2900) sia il Consiglio di Stato (con sentenza 20 aprile 2011 n. 2438) hanno ritenuto che gli abusi di posizione dominante per i quali il Provvedimento Finale ha sanzionato Tim e Wind nel procedimento A357 sono stati commessi nel mercato a monte dei servizi all‟ingrosso di terminazione fisso-mobile (in seguito anche f-m) sulla rispettiva rete mobile, con effetti prodottisi anche nel mercato a valle dei servizi di fonia sulla direttrice f-m riservati alla clientela aziendale. Dunque, ad avviso di BT l‟abuso che sarebbe stato compiuto da Vodafone sul mercato cosiddetto upstream avrebbe prodotto i suoi effetti anche nel mercato a valle dei servizi di fonia fisso-mobile per la clientela business, ciò ad avviso dell‟attrice rilevando ai fini della quantificazione del danno prodotto, pur non essendo necessario ai fini dell‟esistenza di un abuso da margin squeeze. L‟attrice richiama a tal riguardo l‟orientamento della Corte di Giustizia dell‟Unione europea (causa C-52/09, Konkurrensverket/TeliaSonera AB e C-208/08, Deutsche Telekom) e secondo la quale la quota di mercato detenuta dall‟impresa dominante nel mercato a valle non rileva quale presupposto dell‟abuso, ma serve esclusivamente per misurarne gli effetti.
Di conseguenza, l‟abusività della condotta posta in essere dall‟impresa dominante nel mercato a monte sarebbe indipendente dalla detenzione di una posizione dominante anche sul mercato a valle (bastando su tale ultimo mercato la mera potenzialità di produzione di effetti anticoncorrenziali derivanti dal comportamento abusivo tenuto sul mercato a monte). In sintesi, l‟attrice BT ritiene che la posizione dominante detenuta da Vodafone nel mercato all‟ingrosso dei servizi di terminazione sulla propria rete mobile sarebbe di per sé sufficiente per qualificare la pratica di margin squeeze che sarebbe stata posta in essere dalla convenuta come abuso di posizione dominante, indipendentemente dal potere di mercato da essa detenuto nel mercato a valle, nel quale (in parte) si sono prodotti gli effetti dell‟abuso.
La convenuta Vodafone ritiene invece che la propria condotta oggetto di analisi nel presente giudizio non fosse suscettibile di produrre effetti anticoncorrenziali, proprio in considerazione della posizione marginale che essa avrebbe detenuto nel mercato a valle. Ed infatti, secondo la prospettazione della convenuta, il mercato rilevante "a valle" non sarebbe circoscritto ai servizi di fonia fisso-mobile, ma coinciderebbe con il più ampio mercato dei servizi di fonia (aziendale), o, più precisamente, dei servizi integrati di rete fissa e mobile rivolti ai clienti aziendali. Per risolvere il contrasto è utile richiamare l‟orientamento della Corte di Giustizia dell‟Unione Europea, secondo il quale: “l’abusività di una pratica tariffaria attuata da un’impresa verticalmente integrata in posizione dominante sul mercato all’ingrosso delle prestazioni ADSL intermedie e che conduce alla compressione dei margini dei concorrenti di detta impresa sul mercato al dettaglio delle prestazioni di connessione a banda larga ai clienti finali non dipende dall’esistenza di una posizione dominante di tale impresa su quest’ultimo mercato”.
(Konkurrensverket /TeliaSonera AB; n tal senso, si vedano anche: Sentenza TAR Lazio 23.1.2008 n. 2900; Sentenza Cons. Di Stato 20.04.2011 n. 2438).
Dunque, ciò che rileva ai fini della prova dell‟esistenza dell‟abuso da compressione dei margini è lo scarto non equo fra prezzo wholesale e retail, con potenziali effetti restrittivi a danno dei concorrenti nel mercato a valle; l‟eventuale posizione dominante anche sul mercato a valle da parte dell‟impresa verticalmente integrata è assolutamente irrilevante ai fini dell‟abuso.
Un‟ulteriore prospettazione del mercato rilevante nel caso di cui si discute viene offerta dal provvedimento 17131 dell‟Agcm (che conclude il procedimento A357). Ed infatti, stante l‟ambito di attività delle parti, l‟Autorità identifica quattro mercati di cui due pertinenti al caso in esame, ovvero: il mercato a monte (all‟ingrosso) dei servizi di terminazione sulla rete mobile di ciascun operatore (quindi, un mercato per ciascun operatore mobile, e Vodafone in particolare); il mercato a valle (al dettaglio) dei servizi di fonia fisso-mobile alla clientela aziendale (in questo mercato, non distinguendo per altro tra i diversi operatori dotati di rete mobile). Con riferimento al mercato “a monte”, il paragrafo 102 del provvedimento 17131 in particolare recita: “Al fine di fornire una corretta definizione, sotto il profilo merceologico, del mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione, è necessario tenere conto di due aspetti fondamentali che caratterizzano l’offerta dei servizi di telefonia al dettaglio, in particolare: 1) l’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, per cui una chiamata destinata al terminale mobile di un determinato utente non può essere sostituita con una chiamata destinata ad un altro utente; 2) l’applicazione del principio di “chi chiama paga” (CPP, Calling Party Pays), in base al quale il soggetto chiamante (ovvero colui che paga la terminazione) è differente dal soggetto che sceglie la rete sulla quale terminare la chiamata (il chiamato che ha sottoscritto l’abbonamento). Ciò implica che un operatore che vuole fornire ad un proprio cliente il servizio di telefonia deve disporre necessariamente del servizio di terminazione sulla rete del chiamato.” E ai punti seguenti (103-104) prosegue: “La titolarità di ciascuna rete in capo ad un solo gestore, unitamente all’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, fa s che ciascun gestore detenga una quota pari al 100% dell’offerta di servizi di terminazione sulla propria rete. 104. Per tali ragioni, anche in base ai risultati delle analisi recentemente compiute in materia dall’Agcom, si ritiene che, ai fini del presente procedimento, possano essere identificati tanti mercati distinti del prodotto quante sono le reti, in ciascuno dei quali il rispettivo gestore rappresenta l’unico offerente. Tale definizione è peraltro conforme a quella fornita dal nuovo quadro regolamentare comunitario (cfr. supra sez. V, 3) e pi in generale alla prassi comunitaria”. Ed, in particolare, la Raccomandazione della Commissione relativa ai mercati rilevanti di prodotti e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche suscettibili di una regolamentazione ex ante ai sensi della Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (in GUCE L. 114/45 dell‟8 maggio 2003) individua un certo numero di mercati, tra cui, il mercato „16‟ definito come “Voice call termination on individual mobile networks” ovvero terminazione delle chiamate sulle singole reti mobili.
Il mercato a valle viene invece identificato dall‟Agcm come una porzione del più grande mercato al dettaglio dei servizi di telefonia, porzione caratterizzata da tre aspetti o, meglio, da tre limiti. Ed, infatti, il mercato a valle, secondo la lettura offerta dall‟Autorità, è limitato: alla clientela aziendale, ai servizi di chiamata da telefoni fissi (e quindi di non considerare la telefonia mobile come sostituta di quella fissa), ai servizi di chiamata verso telefoni mobili (escludendo quindi i servizi di telefonia verso operatori fissi o internazionali).
Con riguardo in primo luogo al mercato a monte, si ritiene condivisibile l‟esigenza di una definizione del mercato puntuale, così come indicato dall‟Agcm, anche tenuto conto del fatto che non si ha alcuna sostituibilità tra la terminazione sulle diverse reti. Altrettanto condivisibili sono i dubbi sollevati dal CTU con riferimento alla difficoltà di valutare il mercato a monte in una prospettiva antitrust, indipendentemente dal mercato a valle. Ciò poiché, nel caso di specie, il mercato a monte rappresenta il “luogo” nel quale BT Italia acquista un input (il servizio di terminazione su rete mobile Vodafone) che le serve per competere a valle (dopo avere acquistato altri input, quali ad esempio i servizi di terminazione su altre reti mobili) nel mercato della telefonia al dettaglio. In altre parole, nel mercato a monte, gli operatori acquistano servizi intermedi la cui rilevanza sotto il profilo antitrust si fatica a comprendere senza nel contempo valutare come abbia luogo il suo utilizzo sul mercato finale. In aggiunta, sono i consumatori del mercato a valle a determinare i quantitativi degli acquisti delle imprese a monte. Infatti, è con la decisione del consumatore di effettuare una chiamata verso un telefono mobile che l‟impresa (nel caso in questione, BT) acquista i minuti di terminazione dall‟operatore mobile, così che di fatto BT decide solo “se” stipulare un contratto con Vodafone, ma non “quanto acquistare” dalla stessa Vodafone. Inoltre, anche la decisione circa “se” acquistare da Vodafone non rappresenta una vera “scelta” da parte di BT, poiché si tratta di un‟azione necessaria ad operare nel settore a valle.
Si ritiene condivisibile la prospettazione offerta dal consulente tecnico nella parte in cui precisa che - nel cosiddetto “mercato” a monte - si fronteggiano (i) un operatore con obbligo di vendita a condizioni fissate da un‟autorità esterna e (ii) acquirenti che devono per forza acquistare per poter vendere il prodotto finale ai clienti, i quali però non decidono quanto acquistare (questa decisione viene presa dai loro clienti). Si tratta dunque di un luogo di confronto tra venditori che hanno un obbligo di vendere qualunque quantità gli acquirenti vogliano acquistare, ed acquirenti che, se vogliono operare nel mercato a valle, devono acquistare qualunque quantità i loro clienti decidano. Non vi è dunque un controllo diretto degli operatori se non con riguardo alla decisione di operare nel mercato della telefonia e, dunque, in linea con la definizione offerta dall‟Agcm, il mercato a monte non può costituire un perimetro di autonoma valutazione dei comportamenti delle imprese e meno ancora, data la natura del margin squeeze, degli eventuali danni.
Procedendo ora a definire il mercato a valle, si è detto che, ad avviso della convenuta Vodafone, non dovrebbero considerarsi solo le chiamate da fisso a mobile, ma nel suo complesso il mercato della fonia ai clienti aziendali (tutte le chiamate originate sul fisso, sia fisso-fisso, sia fisso- mobile). Si deve tuttavia considerare che, se è vero che la sostituibilità tra telefonia fissa e telefonia mobile è aumentata, con riferimento al periodo di causa i due mercati apparivano piuttosto distinti, come emerge quanto meno dalle coeve relazioni della Autorità di settore.
Ad avviso di questo Giudice, dunque, è pienamente condivisibile e deve essere adottata la definizione di mercato rilevante fornita dall‟Autorità nel contesto del procedimento A357, peraltro corroborata negli ulteriori gradi di giudizio. Tale determinazione era peraltro stata assunta da questo stesso giudice nella propria sentenza n. 12043/2014 Fastweb/Vodafone. Risultano di conseguenza pertinenti al caso in esame il mercato a monte dei servizi di terminazione sulla rete mobile di ciascun operatore ed il mercato a valle dei servizi di fonia fisso- mobile alla clientela aziendale (non distinguendo, in quest‟ultimo caso, tra i diversi operatori dotati di rete mobile). Si è già ricordato che i due mercati sono evidentemente connessi, in considerazione del fatto che gli operatori usano acquistare input a monte, al fine di competere a valle nel mercato della telefonia al dettaglio. Si vuole poi richiamare la circostanza che Vodafone avesse una posizione marginale sul mercato al dettaglio dei servizi di telefonia fisso-mobile aziendale, detenendo una quota di mercato prossima al 2% del mercato (vedi tabella 13 pag. 41 relazione di CTU depositata il 23 novembre 2012). Ad avviso del consulente tale secondarietà permetterebbe di dubitare che Vodafone fosse in grado di tenere comportamenti tali da poter generare effetti anticoncorrenziali. Questo giudice ritiene d‟altra parte condivisibile l‟impostazione assunta dall‟Agcm e poi ripresa in ultima sede dal Consiglio di Stato nella sentenza 2438/2011, secondo la quale è di particolare rilievo
“la circostanza che tale obbligo (ndr. di non discriminazione) sia imposto indistintamente a tutti e quattro i gestori, a prescindere dalla quota detenuta da ciascuno di essi nel mercato a valle - che rileva solo ai fini dell’imposizione di un tetto al prezzo di terminazione - proprio a sottolineare come il controllo di una risorsa disponibile solo ai gestori (la terminazione sulla propria rete mobile) e non anche agli operatori terzi, può potenzialmente avere un’elevata valenza anticompetitiva con effetti sia sui concorrenti sia sui clienti”.
Di conseguenza, il mercato rilevante nel caso de quo fa riferimento (per la clientela aziendale) unicamente alle chiamate sulla direttrice fisso-mobile. Ciò in perfetta conformità con la definizione del mercato offerta dall'Agcm. Ed, infatti, al punto 113 del Provvedimento 17131 che ha concluso il procedimento A357 si legge: “Pertanto, alla luce dell’analisi istruttoria condotta, il mercato rilevante del prodotto ai fini del procedimento in oggetto è quello delle chiamate fisso- mobile alla clientela affari”. Peraltro tale ultima definizione è in linea con le analisi compiute dall‟Agcom nella Delibera n. 410/04/CONS, “Consultazione pubblica sulla identificazione ed analisi dei mercati dei servizi telefonici locali, nazionali e fisso-mobile disponibili al pubblico e forniti in postazione fissa per clienti residenziali e non residenziali, sulla valutazione di sussistenza del significativo potere di mercato per le imprese ivi operanti e sugli obblighi regolamentari cui vanno soggette le imprese che dispongono di un tale potere (mercati n. 3 e n. 5 fra quelli identificati dalla raccomandazione sui mercati rilevanti dei prodotti e dei servizi della commissione europea)” del 24 novembre 2004.
    9. Prima di procedere all‟analisi della consulenza tecnica, questo giudice ritiene di dover premettere che la stessa è da considerarsi condivisibile nel contenuto e che l‟attività di indagine ad essa sottesa è stata spiegata da parte del CTU in piena correttezza e nel pieno confronto con i CT delle parti. Si è già ricordato al punto 1 che precede che la consulenza tecnica conta di una prima relazione depositata in data 23.11.2012 e di tre successivi supplementi, conseguenza delle contestazioni avanzate dalle parti e dai loro CTP (rispettivamente depositati il 30.09.2013, il 17.03.2014 ed il 20.09.2014). La CTU offre una ricostruzione dettagliata di tutti gli elementi presi in considerazione e spiega in modo parimenti dettagliato le ragioni che hanno determinato le scelte effettuate. Si tratta peraltro di ragioni e decisioni maturate dopo ampio dibattito con i consulenti delle parti e a seguito di un‟analisi puntuale ed articolata dei dati forniti o reperiti e, comunque, verificati per i casi e nei limiti in cui ciò è stato possibile, tenuto conto della obiettiva difficoltà di pervenire a dati certi.
    10. Dopo aver definito il mercato rilevante nel contesto nel quale occorre ricondurre la valutazione della condotta imputata a Vodafone, questo giudice intende vagliare nel merito la sussistenza in capo a Vodafone di una condotta di abuso di posizione dominante.
Come già argomentato dall‟Agcm nel proprio provvedimento 17131, a chiusura del procedimento A357 (sez. VI, 2), la circostanza che ciascuna rete sia di proprietà di un solo gestore, unitamente all‟assenza di sostituibilità dal lato della domanda per i servizi di terminazione su una determinata rete, conferisce al MNO (Mobile Network Operator) un potere di mercato nell‟offerta dei servizi di terminazione sulla propria rete assoluto ed esclusivo. Vodafone, inoltre, (come Tim e Wind) gode di una piena autonomia di comportamento sia nei confronti dei concorrenti che degli utenti dei servizi di terminazione delle chiamate sulla propria rete e può a propria discrezione decidere se dare accesso alle proprie reti ad operatori alternativi di comunicazione, in particolare di rete fissa, non essendo stata soggetta a pressioni o vincoli da parte di concorrenti attuali o potenziali. Tutto ciò conferisce a Vodafone una posizione dominante nell‟offerta di servizi di terminazione sulla propria rete (Cfr. sent. CGCE del 14 febbraio 1978, Causa 27/76, United Brands, par. 65). Tale definizione della posizione dominante rispettivamente detenuta dagli MNO è pienamente conforme agli orientamenti nazionali e comunitari relativi al mercato della terminazione delle chiamate su reti mobili (Cfr. Delibera AGCOM n. 3/06/CONS del 12 gennaio 2006, “Mercato della terminazione di chiamate vocali su singole reti mobili (mercato n.16 fra quelli identificati dalla raccomandazione della Commissione europea n. 2003/311/CE): Identificazione ed analisi del mercato, valutazione di sussistenza di imprese con significativo potere di mercato ed individuazione degli obblighi regolamentari”; nonché la lettera della Commissione del 23 novembre 2005).
Come già affermato nella sentenza del Tribunale di Milano, Sez. I civ. (sent. Teleunit/Vodafone, 1° ottobre 2013, n. 12227, Giudice estensore Massari) dal provvedimento dell‟Agcm di avvio dell‟istruttoria in data 23.2.2005 risulta come Vodafone, Tim/Telecom e Wind siano stati considerati operatori in posizione di dominanza congiunta (la posizione congiunta non è stata poi confermata) nel mercato dei servizi all‟ingrosso di terminazione delle chiamate su rete mobili ed in posizione dominante singola nel mercato dell‟offerta dei servizi di terminazione sulla propria rete, considerata la titolarità di ciascuna rete in capo ad un solo gestore, l‟assenza di sostituibilità dal lato della domanda per i servizi di terminazione su una determinata rete e in generale l‟assenza di efficaci vincoli al potere di mercato dell‟operatore di rete mobile di terminazione.
In detto provvedimento si legge inoltre che “con riferimento ai comportamenti assunti nell’offerta di servizi di terminazione dai gestori mobili, ciascuno dei quali è dominante nel mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione sulla propria rete, l’applicazione, da parte di tutti e tre i gestori, di condizioni economiche per i servizi finali integrati di fonia fisso-mobile all’utenza business inferiori ai prezzi del solo servizio di terminazione da fisso a mobile offerto come fattore intermedio ai propri concorrenti, induce a ritenere che TIM, VODAFONE e WIND applichino condizioni economiche (prezzi di terminazione inferiori a quelli vigenti) o tecniche (modalità di raccolta e/o trasformazione del traffico) di favore nei confronti delle proprie divisioni commerciali nella vendita di servizi di terminazione. Ciò al fine di escludere quelle società che, avvalendosi di tali servizi di terminazione, operano in concorrenza con i gestori mobili nel mercato dei servizi integrati all’utenza business. Laddove verificati, tali comportamenti costituirebbero gravi abusi di posizione dominante, aventi l’effetto di alterare la concorrenza nell’offerta di servizi integrati di fonia alle aziende, in particolare per la componente fisso- mobile.” (pagg.18-19). Sulla base di tali rilievi quindi il provvedimento di avvio dell‟istruttoria ha considerato diverse ipotesi di violazione degli artt.81 e 82 del Trattato CE (ora 101, 102 TFUE) tra le quali, per quanto di interesse in questa sede, anche comportamenti discriminatori dei tre MNO Tim, Vodafone e Wind a favore delle proprie divisioni commerciali, consistenti nell‟offerta a queste ultime di servizi di terminazione fisso-mobile sulle rispettive reti a condizioni tecniche o economiche più favorevoli di quelle praticate a terzi.
Negli scritti conclusivi di parte convenuta nel presente procedimento la difesa fornisce spiegazioni idonee a motivare le ragioni di una simile scelta, senza tuttavia che tali motivazioni possano essere considerate idonee a legittimare un comportamento di discriminazione interno/esterno del tipo di quello contestato.
E‟ poi significativo - per replicare ai rilievi di Vodafone ancora ribaditi nella propria memoria di replica conclusiva - che dopo l‟avvio di tale istruttoria, a distanza di un anno e mezzo circa dall‟avvio delle indagini ed alla luce dei risultati di dette indagini, l‟Agcm non abbia provveduto ad archiviare nei confronti di Vodafone, ma abbia proseguito anche nei suoi confronti con la notificazione della CRI (cfr Comunicazione delle Risultanze Istruttorie del 20 luglio 2006). In tale documento di contestazione l‟Agcm ha concluso (per quanto di rilievo in questa sede) non solo riconoscendo Tim, Vodafone e Wind imprese dominanti ciascuna nel mercato della terminazione sulla propria rete, ma altresì ravvisando per ciascuna di esse condotte abusive consistenti nell‟applicazione di condizioni economiche e/o tecniche più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto a quelle praticate ai propri concorrenti al fine di eliminare o
restringere la concorrenza nei medesimi mercati all‟ingrosso della terminazione e nel mercato a valle contiguo nei servizi fisso-mobile all‟utenza aziendale.
Dal confronto effettuato delle offerte fisso-mobile business (per traffico on net e interaziendale) praticate dai tre MNO con i costi sottostanti di raccolta e terminazione fisso-mobile (cfr da pag.195 della CRI), è emerso anche per Vodafone che le condizioni praticate alle proprie divisioni commerciali ed alla propria clientela nel periodo 2000/settembre 2005 risultavano inferiori ai costi di raccolta e terminazione, non replicabili da parte di un concorrente anche ipotizzandone una pari efficienza. Con il citato provvedimento finale del 3 agosto 2007 l‟Agcm ha deliberato che le descritte condotte poste in essere da Tim e Wind costituissero distinti abusi di posizione dominante ed ha irrogato per entrambe le note sanzioni amministrative pecuniarie, poi confermate nei superiori gradi di giudizio.
Come già si è detto, per Vodafone il procedimento si è chiuso grazie all‟assunzione di impegni da parte della stessa, proprio in relazione ai rapporti negoziali con BT, ai sensi dell‟art. 14 ter, comma 1, L. n.287/1990. Tali impegni sono stati giudicati idonei da parte dell‟Agcm, che ha quindi ritenuto che per Vodafone il comportamento contestato fosse venuto meno.
Se è vero che la presentazione degli impegni non costituisce ammissione di colpevolezza, non può tuttavia ignorarsi che l‟art. 14 ter recita: “le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell'istruttoria. L'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall'ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l'infrazione.”. Nella specie, infatti, l‟Agcm ha preso in esame le misure correttive oggetto degli impegni presentati da Vodafone “in relazione alla loro idoneità a far venir meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell‟istruttoria”, cosicché detto esame non può prescindere dalla ricognizione degli aspetti anticompetitivi considerati in fase di avvio del procedimento e dalla verifica dell‟idoneità delle strategie promesse con gli impegni a far venir meno per il futuro i predetti profili anticoncorrenziali.
Si ritiene quindi che la valutazione di idoneità degli impegni da parte dell‟Autorità, nel rispetto del principio di proporzionalità, non possa che presupporre una condotta anticoncorrenziale (quantomeno ritenuta probabile alla luce dell‟istruttoria condotta e delle contestazioni articolate, non trattandosi di un semplice sospetto) in considerazione della strumentalità dei primi per elidere conseguenze distorsive della seconda (e non per fornire regole orientative del mercato a prescindere dall‟esigenza di eliminare condotte anticoncorrenziali).

In ogni caso, pur non volendo ritenere che le contestazioni contenute nella CRI facciano stato o costituiscano una prova privilegiata o comunque autorevole della sussistenza dell‟addebito, le stesse hanno trovato conferma nella CTU. Ed, infatti, l‟indagine svolta dal CTU ed i dati dal medesimo raccolti e analizzati - laddove identificano, quantomeno fino al 2004/2005, prezzi praticati da Vodafone inferiori ai costi (tale dato ricorre in tutte le relazioni depositate dal CTU) - confermano l‟esistenza di un differenziale negativo tra prezzo regolatorio della terminazione all‟ingrosso su rete Vodafone, secondo quanto pagato da BT Italia, e prezzo di servizio fisso/mobile offerto da Vodafone alla sua clientela aziendale retail. Ciò è valso a confermare l‟esistenza dell‟abuso da discriminazione e della violazione dell‟obbligo di parità di trattamento interno/esterno (sia pure nei limiti di cui si dirà in seguito).
In merito alla condotta discriminatoria più volte descritta – consistente nell‟applicazione di condizioni economiche per la terminazione F-M delle chiamate su numerazioni mobili on net e intercom più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto ai corrispondenti prezzi di terminazione praticati ai propri concorrenti, anche attraverso l‟impiego di particolari soluzioni tecniche, in assenza di una corrispondente offerta wholesale per i propri concorrenti – vale ricordare il principio c.d. della pari opportunità, richiamato dall‟Agcm nel proprio provvedimento 17131 (punto 264), da tempo consolidato a livello di giurisprudenza comunitaria e nazionale, in virtù del quale un regime di libera concorrenza si fonda sulla circostanza che le imprese potenziali concorrenti possano agire a parità di condizioni, senza evidenti vantaggi acquisiti abusivamente (cfr. in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia, del 13 dicembre 1991, causa n. 18/88, RTT/SABAM; a livello nazionale, il provvedimento n. 1532, Sistema Telefonia Cellulare GSM, del 28 ottobre 1993, in Boll. n. 32/1993, il provvedimento n. 6698, Consorzio Risposta/Ente Poste Italiane, del 17 dicembre 1998, in Boll. n. 51/98, nonché il provv. 8065, Cesare Fremura Assologistica/Ferrovie dello Stato, del 24 febbraio 2000, in Boll. n. 8/2000).
Si deve altresì evidenziare come, in capo a Vodafone, in quanto monopolista (a monte), incomba comunque una speciale responsabilità. Come ricordato dalla Corte di Giustizia Europea nella più volte citata sentenza Telia Sonera: “secondo una giurisprudenza costante, è all’impresa che detiene una posizione dominante che incombe la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno”. In tal senso si sono espressi peraltro tanto il CTU già nella propria relazione del 23 novembre 2012 (p. 43), quanto l‟Agcm nel proprio provvedimento 17131 (punto 264).
In particolare, in virtù della speciale responsabilità che incombe sull‟impresa in posizione dominante - nel caso di specie, su Vodafone, dominante nel mercato della terminazione sulla propria rete - è fatto divieto alla medesima di discriminare a favore delle proprie divisioni commerciali nell‟offerta di servizi intermedi necessari ai propri concorrenti per competere nei servizi finali (Cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 1271/06 e il relativo provv. 13033 dell‟Agcm, Comportamenti abusivi di Telecom Italia, in Boll. 13/2004). Tale divieto è rafforzato dalla circostanza che Vodafone è operatore con notevole forza di mercato, quantomeno nel mercato della terminazione sulle rispettive reti. Infatti, nell‟ambito della normativa comunitaria del settore delle comunicazioni elettroniche, gli obblighi di trasparenza, non discriminazione e controllo dei prezzi, ivi compreso l‟orientamento ai costi, già sanciti in capo alle imprese che dispongono di un notevole potere di mercato dalla Direttiva 97/33/CE (Open Network Provisions), e recepiti internamente dal D.P.R. 318/97 (articolo 4, comma 7), sono stati poi ripresi dal nuovo quadro regolamentare comunitario per le comunicazioni elettroniche (Dir. 2002/21/CE e Direttive collegate), recepito in Italia dal decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche). In particolare, si evidenzia che la Direttiva n. 2002/19/CE del 7 marzo 2002 ribadisce che l‟obbligo di trasparenza dei termini e delle condizioni dell‟accesso e dell‟interconnessione (in cui rientra quella per la terminazione delle chiamate su rete mobile) è posto, tra l‟altro, al fine di garantire “…agli attori presenti sul mercato che il servizio non è fornito a condizioni discriminatorie…” (considerando 16). Inoltre, la medesima Direttiva specifica che “[i]l principio di non discriminazione garantisce che le imprese aventi potere di mercato non distorcano la concorrenza, soprattutto nei casi di imprese ad integrazione verticale che prestano servizi ai propri concorrenti nei mercati a valle…” (considerando 17).
A livello nazionale, l‟Agcom, a conclusione della procedura di valutazione del mercato n. 16 – mercato della terminazione di chiamate vocali su singole reti mobili – con delibera n. 3/06/CONS, ha ulteriormente sancito gli obblighi di trasparenza e non discriminazione in capo a Tim e Vodafone ed estendendoli poi a WIND e H3G, anch‟essi notificati come operatori in possesso di notevole forza di mercato nei mercati della terminazione sulle rispettive reti. Peraltro si è già ricordata la circostanza che tale obbligo di non discriminazione sia imposto indistintamente a tutti e quattro i gestori, a prescindere dalla quota detenuta da ciascuno di essi nel mercato a valle - che rileva solo ai fini dell‟imposizione di un tetto al prezzo di terminazione - proprio a sottolineare come il controllo di una risorsa disponibile solo ai gestori (la terminazione sulla propria rete mobile) e non anche agli operatori terzi, può potenzialmente avere un‟elevata valenza anti-competitiva con effetti sia sui concorrenti sia sui clienti finali.
Per tutti i motivi esposti, si ritiene che la condotta posta in essere da Vodafone nei mercati all‟ingrosso della terminazione delle chiamate sulle rispettive reti, consistenti nell‟applicazione di condizioni economiche e/o tecniche più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto a quelle praticate ai propri concorrenti, configuri abuso di posizione dominante. Si considerano quindi superate le difese riportate dalla convenuta sino alla propria memoria di replica secondo le quali non vi sarebbe prova dell‟abuso, poiché tutti i rilievi di cui sopra valgono a dimostrare il contrario.
    11. Questo Giudice, in sede di decisione definitiva ritiene di dover confermare alcune scelte fatte nel corso del procedimento ed in particolare nel corso della formulazione dei successivi quesiti sottoposti al CTU Prof. Scarpa. In particolare ritiene di ribadire quanto indicato nell‟ordinanza riservata del 16.4.13, alla luce dell‟ampio dibattito svoltosi con i legali ed i CT delle parti, anche a mezzo di apposite memorie a ciò espressamente dedicate.
In detta occasione si era già impostata l‟attività del CTU nel non limitarsi al calcolo dell‟overcharge dal momento che il presente caso appariva diverso rispetto al caso OKCom (sent. Dott. Micciché n. 2159 del 14.12.2013, OK Com c. Telecom), assunto come riferimento dalla difesa di BT Italia. In quella causa infatti l‟attrice aveva chiesto un danno emergente in relazione ai maggiori costi sostenuti per il servizio di terminazione (ed aveva quindi prospettato la tesi che nei propri profitti aveva assorbito il prezzo più elevato ad essa praticato da Telecom Italia); aveva infatti chiesto il lucro cessante, di fatto poi non accordatole per ritenuta mancanza di prova, avendo prospettato di non aver potuto far fronte alla domanda di terminazione dovuta alla pratica escludente di Telecom attraverso la risoluzione del contratto Multibusiness in corso con Telecom. Le voci di danno così richieste derivavano quindi direttamente ed esclusivamente dalla risoluzione del contratto Multibusiness. E‟ evidente che nel caso di specie non è stato prospettato nulla di simile.

Nel presente caso il calcolo dell‟overcharge è apparso di difficile se non impossibile determinazione, dal momento che la valutazione del sovrapprezzo avrebbe dovuto fare riferimento ad un parametro che è rimasto ignoto (il prezzo operato da Vodafone alle proprie divisioni commerciali interne).
Del resto ritiene questo giudice che l'overcharge - ove la domanda sia stata introdotta invocandosi un caso di margin squeeze - non è rilevante in sé, ma solo quale componente da prendere in considerazione nell‟ambito della verifica circa l‟esistenza e la quantificazione della riduzione dei margini di guadagno del danneggiato (appunto il margin squeeze).
È vero infatti che nel procedimento A357 condotto dall'Agcm non era stato imputato a Vodafone un comportamento di prezzo eccessivo di terminazione (essendo questo il prezzo regolato), bensì un trattamento discriminatorio interno/esterno, onde appare corretta l‟adozione del criterio del margin squeeze. È altrettanto vero che BT Italia ha fatto riferimento fin dal principio, nell‟atto di citazione (vedi anche le domande formulate in via alternativa nella parte conclusiva di detto atto) e costantemente nel corso dello svolgimento delle operazioni di consulenza a tale concetto.
Tale categoria di abuso è stata definita dalla Commissione europea come: “a disproportion between an upstream and a downstream price. Contrary to what Telefonica claims, there is no need to demonstrate that either the wholesale price is excessive in itself or that the retail price is predatory in itself” (Decisione della Commissione caso COMP/38.784 – Wanadoo Espana vs. Telefonica, 4 luglio 2007, par. 283). La recente sentenza della Corte di Giustizia dell‟Unione europea Telia Sonera (causa C-52/09, Konkurrensverket/TeliaSonera), più volte citata, ha poi identificato il margin squeeze come violazione distinta delle norme sulla concorrenza, non assimilabile al rifiuto a contrarre. Aggiunge altresì che “nell’ambito della valutazione dell’abusività di siffatta pratica, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze di ciascuna fattispecie”.
Come correttamente rilevato dal CTU nella propria relazione depositata in data 23.11.2012 (pag.
40) occorre pertanto dimostrare che il comportamento a monte dell‟impresa dominante sia tale da produrre effetti anticoncorrenziali nel mercato a valle. A tal riguardo, si ricordi che H3G – anch‟esso operatore di telefonia mobile – è stato escluso dal procedimento A357 in quanto assente dal mercato a valle (cfr. par. 258 del provvedimento finale dell‟Agcm).
Quale contropartita della scelta di escludere il criterio dell‟overcharge, si ritiene condivisibile la considerazione secondo la quale non rileva il fatto che BT abbia “ribaltato” il maggior costo sui proprio utenti finali (passing-on). D‟altra parte tale prospettazione non risulta supportata in causa da elementi di prova o da riscontri di alcun genere.
    12. Con riguardo ora alla quantificazione del danno subito da BT a causa della condotta di abuso di posizione dominante posta in essere da Vodafone, si deve in primo luogo considerare che per la valutazione del risarcimento conseguente all‟abuso di posizione dominante imputato a Vodafone non si possa che procedere ad una scelta di tipo discrezionale, posto che nella prospettazione del c.d. scenario controfattuale non è possibile pervenire a dati certi, ma ci si deve attenere a semplici ipotesi, sia pure supportate dai criteri della scienza econometrica.
Nella relazione depositata dal Prof. Scarpa in data 23 novembre 2011, dopo ampie e approfondite argomentazioni, si giunge a limitare l‟ambito temporale del danno subito da BT fino al mese di marzo del 2005 (pag. 53). Ciò sulla base del fatto che alcuni dei piani tariffari di Vodafone, oggetto di disamina, erano sì sottocosto al momento della loro introduzione e sono effettivamente rimasti sul mercato per diversi anni, ma sono stati poi ricondotti nell‟area delle offerte lecite, con la revisione delle offerte ed il calo delle tariffe di terminazione degli ultimi anni. Con il primo supplemento di quesito, questo giudice ha richiesto al CTU di concentrare la propria attenzione sull‟approccio c.d. bottom up (ovvero a partire dalle tariffe e non invece dalla contabilità di Vodafone) e di trattare due questioni ampiamente dibattute tra le parti, ossia la percentuale dei costi commerciali da considerare e le modalità con le quali il risultato possa variare considerando non solo lo sconto medio sulle tariffe, ma anche un valore intermedio tra quello medio e quello massimo (il c.d. sconto intervallare). Nella relazione supplementare, depositata in data 30 settembre 2013, il consulente evidenzia come dal 2002/2003 fino al 2004/2005 i prezzi praticati da Vodafone si trovino al di sotto dei costi, qualunque sia l‟ipotesi che si vuole considerare circa i costi commerciali e qualunque sia il parametro di prezzo (sconto) che si ritiene corretto utilizzare per valutare la politica di prezzo di Vodafone. Allo stesso modo, i prezzi di Vodafone risultano certamente leciti dal 2006/07 in poi, qualunque sia il criterio considerato tra quelli indicati dal quesito (si veda la tabella 4 a pag. 9 della relazione supplementare del CTU del 30.09.2013).
Questo giudice ritiene che sia del tutto condivisibile la prospettazione del consulente tecnico che
– anche in considerazione degli interessi economici in gioco – è stato chiamato per tre volte ad integrare la relazione, proprio al fine di avere un quadro quanto più completo e verificato della medesima prospettazione.
    13. Occorre in primo luogo procedere ad una specifica disamina della voce dei costi commerciali da valutare, in considerazione della rilevanza che essa assume, con riguardo alla affermazione di un asserito danno subito da BT.

A seconda del valore percentile attribuito ai costi commerciali con riferimento ai costi di rete, l‟ambito temporale del danno subito da BT arriva fino al mese di marzo 2005, ove i costi commerciali siano quantificati in un valore pari al 5%, o al mese di marzo 2006, ove invece detti costi siano considerati al valore del 20%.
Il CTU aveva ritenuto opportuno quantificare l‟impatto dei costi commerciali in un valore pari al 5% dei costi di rete di Vodafone, detto valore derivando dai bilanci di responsabilità sociale di Vodafone per gli anni dal 2002 al 2008. Nella prima relazione supplementare (depositata in data 30 settembre 2013), il CTU ha preso in considerazione un‟ulteriore quantificazione dei costi commerciali pari al 20% dei costi di rete. Tale valore trova fondamento nella delibera dell‟Agcom 499/10/CONS, ove l‟Autorità offre una misura presuntiva di detti costi, in proporzione ai costi di rete totali. Nello specifico, l‟Agcom distingue la parametrazione dei costi commerciali a seconda del mercato finale cui è destinata l‟offerta e, per quanto concerne la clientela di interesse, ossia quella business, identifica appunto i costi commerciali in una percentuale pari al 20% dei costi di rete. Occorre premettere che il ruolo assolutamente marginale ricoperto dalla telefonia fissa, all‟interno delle attività di Vodafone, induce ad una stima prudenziale dell'incidenza dei costi commerciali. Si è peraltro già ricordato che la quota di mercato di Vodafone, con particolare riferimento alla direttrice fisso-mobile, era pari a circa il 2%. Ciò induce ragionevolmente a ritenere che i costi commerciali sostenuti in funzione di tale direttrice avessero un impatto estremamente limitato e pressoché trascurabile sui costi complessivamente sostenuti da Vodafone. D‟altra parte, la delibera 499/10/CONS costituisce un adeguamento dei test di prezzo utilizzati nella precedente delibera 152/10/CONS, la quale conteneva misure atte a garantire la piena applicazione del principio di parità di trattamento interna ed esterna da parte degli operatori “aventi notevole forza di mercato nella telefonia fissa”. Si ritiene pertanto che i parametri definiti nella delibera 499/10/CONS non possano trovare diretta e immediata applicazione con riferimento al caso de quo, considerata la richiamata posizione di Vodafone sul mercato oggetto di analisi. Tale delibera è stata peraltro approvata facendo precipuo riferimento ad uno dei principali operatori sul mercato della fonia fissa, ossia Telecom Italia. Inoltre, l‟Agcom, nella propria delibera, concede esplicitamente all‟operatore che sia assoggettato al test la facoltà di richiedere l‟utilizzo dei costi effettivamente sostenuti. Si consideri inoltre che i costi commerciali di telefonia non possono considerarsi quale voce in sé autonoma in quanto rientrano nei costi sostenuti per l‟offerta di fonia complessivamente intesa. In particolare, i costi commerciali sulla direttrice fisso-mobile sono parte dei cosiddetti costi non evitabili, in quanto non specifici alla direttrice stessa. Peraltro le offerte praticate sul mercato da Vodafone erano offerte complesse, delle quali la terminazione fisso-mobile non era altro che una delle componenti. In altre parole Vodafone offriva ai clienti dei “pacchetti” che non riguardavano mai unicamente il mercato della fonia fisso-mobile. A ciò si aggiunga il significativo rilievo che la stessa Agcm, nel corso del procedimento A357, ha preso in considerazione unicamente i costi di raccolta e di terminazione, e non anche i costi commerciali, per il calcolo del test di replicabilità.
Tutto quanto sopra premesso, in considerazione della peculiarità della posizione ricoperta da Vodafone sul mercato della fonia fisso-mobile, si ritiene corretto - nel caso di cui si discute – quantificare i costi commerciali in un valore pari al 5% dei costi di rete.
È del resto significativo che il comportamento illecito alla base dell‟azione di BT non sia stato rilevato dall‟Agcm per l‟anno 2006, considerato che il procedimento A357 riguardava il periodo precedente, e che l'Agcm non ha ritenuto di dare ingresso ad un‟altra istruttoria in relazione a possibili ulteriori comportamenti discriminatori protrattisi in epoca più recente. A tali considerazioni si aggiunga la circostanza, non contestata, che l‟Agcm non ha mai mosso contestazioni nei confronti di Vodafone, dopo la chiusura del procedimento. Si ricorda infatti che, ai sensi dell‟articolo 14-ter della legge 287/90, l‟Autorità, ove un‟impresa contravvenga agli impegni assunti e resi obbligatori, può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10
% del fatturato o riaprire il procedimento nei suoi confronti,circostanze queste non realizzatesi nella specie.
    14. Con riguardo al rapporto dei costi stimati ai prezzi, nel corso della prima relazione supplementare, è stato chiesto al CTU di voler considerare non solo lo sconto medio ma anche un valore intermedio tra tale sconto e lo sconto massimo (il c.d. sconto intervallare). Nella relazione supplementare, depositata in data 30.9.2013, il consulente evidenzia come dal 2000/2001 fino al 2004/2005 i prezzi praticati da Vodafone si trovino al di sotto dei costi, qualunque sia l‟ipotesi che si vuole considerare circa i costi commerciali e qualunque sia il parametro di prezzo (sconto) che si ritiene corretto utilizzare per valutare la politica di prezzo di Vodafone. Egli conclude dunque confermando l‟analisi effettuata con riguardo al valore dei costi commerciali e cioè che fino al 2004/05 i prezzi praticati da Vodafone sono al di sotto dei costi, non solo qualunque sia l‟ipotesi che si vuole considerare circa i costi commerciali, ma anche qualunque sia il parametro di prezzo (sconto) che si ritiene corretto utilizzare per valutare la politica di prezzo di Vodafone. Mentre i prezzi di Vodafone sono da ritenersi certamente leciti dal 2006/07 in poi, qualunque sia il criterio adottato tra tutti quelli considerati in corso di causa (si veda pag. 10 della prima relazione supplementare del CTU). Ancora dunque assume rilievo primario, ai fini della commisurazione dell‟eventuale danno, la ricostruzione della voce dei costi commerciali: ove siano stimati al 5% dei costi di rete il comportamento di Vodafone sarebbe sicuramente lecito già a partire dall‟anno 2005/2006, mentre l‟opposto è vero nel caso in cui i costi commerciali siano valutati al 20% del costo di rete (con un margine negativo di circa 1-3% del costo). Si ritiene in ogni caso corretta l‟adozione delle sconto intervallare – e, cioè, di ammontare pari ad uno livello intermedio fra lo sconto medio e quello massimo - considerando come più realistica l‟ipotesi di sconti elevati alla clientela business.
    15. Fatte tali premesse, tenuto conto in particolare delle risultanze di cui alla relazione finale di CTU ed alla prima relazione supplementare, questo giudice ritiene di adottare quale base di partenza per la quantificazione del danno subito da BT un valore commisurato rispetto a costi commerciali al 5% ed allo sconto intervallare.
    16. Il secondo supplemento di incarico chiedeva poi al consulente di voler quantificare i costi di terminazione e di voler identificare il traffico originato dai clienti business di rete fissa di BT e terminato su rete mobile Vodafone, ma effettuato attraverso reseller. Ciò per scorporare il traffico direttamente fatturato da BT a Vodafone da quello che Vodafone ha fatturato ad altri operatori, pur essendo eventualmente originato da clienti BT.

    17. Il supplemento di relazione da ultimo disposto (che è scaturito nella terza relazione supplementare depositata in data 20 settembre 2014) è stato invece provocato dal deposito di materiale documentale pervenuto a Vodafone in forma anonima e dalla difesa della convenuta offerto in produzione all‟udienza del 4 aprile 2014.
Si è a lungo discusso circa l‟ammissibilità di tale materiale sia perché tardivamente introdotto nel processo, sia perché pervenuto con il mezzo della missiva anonima (così almeno è stato detto da Vodafone) e – secondo la tesi di parte attrice – trafugato presso la stessa.
Questo giudice ha ritenuto di non poter del tutto ignorare le emergenze derivate da tale materiale, in quanto direttamente incidenti sulla quantificazione del danno ed intervenute quando si era ancora nella fase degli accertamenti inerenti la predetta quantificazione; inoltre, la loro tardiva produzione nel giudizio è dipendente dalla circostanza che, sempre secondo la versione di Vodafone, quest‟ultima ne avrebbe avuto contezza solo nelle ultime battute processuali. Del resto, tale scelta è stata determinata dal convincimento che fosse opportuno completare il quadro degli accertamenti nell‟ambito del giudizio di primo grado, quando l‟attività del CTU era stata appena ultimata, piuttosto che riservarla ad un eventuale giudizio di secondo grado, nel quale gli accertamenti avrebbero potuto essere riaperti.
Quanto alla provenienza di tale documentazione, ai fini civilistici, non sembra che la fonte anonima ed eventualmente illecita dell‟acquisizione del predetto materiale presso BT sia risolutiva nel determinare l‟esclusione assoluta di tale materiale a qualsiasi fine. E‟ vero infatti che il principio della lealtà processuale avrebbe dovuto indurre BT a rappresentare il dato emerso da tale documentazione nel corso delle operazioni di CTU, così da fornire un quadro reale del pregiudizio effettivamente subito a causa del comportamento abusivo di Vodafone.
L‟atteggiamento assunto da BT a proposito delle emergenze di detta documentazione è stato quello di affermare di non aver reperito riferimenti a pretesi accordi con Telecom risalenti al 2002 e di non essere stata in grado di ricostruire le dinamiche del traffico così risalenti nel tempo. La replica di Vodafone sul punto ha evidenziato che la prova dell‟effetto del pregiudizio derivato dall‟abuso imputato a Vodafone e del fatto che tale effetto sia stato subito da BT (e non da terzi) rappresentano altrettanti fatti costitutivi della domanda, cosicché la loro prova avrebbe dovuto fare carico a BT.
La documentazione da ultimo depositata ha insinuato il dubbio che il danno non sia stato subito da BT nella sua totalità, secondo i rilievi delle precedenti relazioni del CTU, ma che una parte del traffico computato dalle predette relazioni sia unicamente transitato nelle reti di BT, non essendo da questa originato.
Non ignora questo giudice che la giurisprudenza penalistica vieta qualsiasi utilizzo delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge (Cass. Pen. S.U. 9.4.2010 n. 13426); è tuttavia vero che tale inutilazzibilità è stata individuata sempre nell‟ambito di procedimenti penali (nel caso specifico il procedimento per l‟adozione delle misure di prevenzione).
Il caso di specie, fino a prova contraria, non vede Vodafone quale artefice della sottrazione del materiale di cui al plico depositato all‟udienza del 4 aprile 2014, né può imputarsi a Vodafone l‟intromissione nella corrispondenza riservata di BT.
Si può del resto fare riferimento al principio vitiatur sed non vitiat, per cui la sanzione processuale di inutilizzabilità di una prova rimane circoscritta alle prove illegittimamente acquisite senza incidere in alcun modo sulle altre risultanze probatorie, pur se collegate a quelle inutilizzabili (Cass. I sez. pen., 30.1.2007 n. 21923, imp. Cirillo; Cass. I sez. pen., 6.3.2008 n.12685).
Del resto la giurisprudenza civile si è espressa nel senso favorevole al recepimento di prove documentali nel processo civile ancorché ne sia contestata la loro inutilizzabilità per l‟illegittimità della loro fonte di provenienza. Tale categoria infatti si è detto appartenere al rito penale ed essere ignota al processo civile (Cass. II sez. civ., 25.3.2013 n. 7466).

Comunque, nel caso in esame, il materiale depositato dalla difesa Vodafone ha costituito solo l‟occasione per disporre un ulteriore supplemento delle indagini demandate al CTU, come già in precedenza altri supplementi di indagine erano stati disposti su richiesta di BT.
Questo giudice ha sì invitato il CTU ad esaminare la documentazione di cui al plico depositato in udienza dalla difesa di Vodafone al fine di verificare la sussistenza di elementi che rendessero verosimile l‟ipotesi prospettata dalla convenuta (a nulla rilevando che tale ipotesi avesse trovato fondamento a partire dalla denuncia anonima fatta propria dalla convenuta medesima).
    18. L‟esito della disamina affidata al CTU è stato riassunto nella nota depositata dal Prof. Scarpa all‟udienza del 29 aprile „14 . Con detta nota il CTU ha fra l‟altro riferito che dall‟analisi della documentazione in parola emergerebbe che era prassi già nel 2005 di avere scambi di traffico tra operatori, così che traffico di altra origine poteva venire “reinstradato” su rete BT, non per necessità tecnica o in ragione della capillarità della rete stessa, ma per una convenienza economica. A detta del Prof. Scarpa appariva “abbastanza evidente che sulla rete di BT potesse transitare un traffico non proporzionato alla clientela BT ma legato a questi accordi (la cui natura non è nota, ma che comunque sembrano rilevare rispetto alle decisioni di instradamento del traffico)”. Secondo il CTU veniva quindi posto in dubbio quali costi fossero effettivamente stati sostenuti da BT all‟interno di questo complesso scambio di traffico e quale parte del traffico transitato direttamente da rete fissa BT a rete mobile Vodafone originasse effettivamente da clienti business di BT.
Alla luce dei rilievi esposti dal CTU in tale nota, questo giudice ha quindi ritenuto di affidare al medesimo un ulteriore accertamento conclusivo, invitando il Consulente a rispondere ai seguenti quesiti:

“accerti – sulla base dei valori di cui alla tabella agli atti sub doc. 9 di BT Italia – quale sia il traffico pertinente per i fatti di causa, ovvero effettivamente originato da clientela BT aziendale di rete fissa e terminato su rete mobile Vodafone;
    • accerti quali prezzi BT abbia pagato per il traffico terminato su rete mobile Vodafone, distinguendo tra il traffico direttamente terminato su rete mobile Vodafone e quello transitato invece attraverso operatori terzi;
    • nell'ipotesi in cui questa verifica modifichi il traffico da considerare ai fini della causa in corso, proceda ad un nuovo calcolo dei danni patiti da BT utilizzando i nuovi dati - ferma restando la metodologia adottata in precedenza dal CTU - nelle diverse ipotesi considerate.
    • stimi altresì il danno subito da BT Italia per il periodo giugno 1999 - marzo 2000 eventualmente tramite proiezione all'indietro dei prezzi rilevati nel periodo successivo”.
I risultati di tali ultimi accertamenti demandati al CTU saranno di seguito esaminati.
    19. Il CTU nell‟ultimo supplemento depositato il 20.9.14 ha rilevato che il c.d. „traffico di transito‟ sia traffico ingenerato da clienti di BT, essendo però detti clienti di natura wholesale e non retail, e quindi non soggetti ad un contratto rientrante tra quelli cui si riferisce il procedimento A357 riguardanti proprio la clientela retail. Ha così valutato  che i minuti di traffico di transito non debbano essere computati ai fini della commisurazione del danno di BT. Ritiene questo giudice che si debba affermare che il c.d. „traffico di transito‟, ossia quel traffico derivante dall‟utilizzo delle reti BT da parte degli altri operatori di telefonia come reti di transito, integri una situazione in cui il pregiudizio lamentato da BT nel presente giudizio non sia stato in realtà subito da parte attrice. In relazione a tali quantità di traffico invece BT si sarebbe limitata a garantire il trasferimento del traffico originato da altri operatori verso le reti Vodafone, così da indurre a ritenere che l‟eventuale pregiudizio conseguente al comportamento discriminatorio imputato a Vodafone sia semmai stato subito da detti operatori. Il meccanismo del transito, al contrario, avrebbe ingenerato per BT un‟occasione di guadagno o quantomeno di compensazione a favore della stessa rispetto ad altri interessi. In considerazione di tale rilievi si deve aver presente la tabella 8 della terza relazione supplementare di CTU (pag. 13), dalla quale risulta una percentuale di „traffico di transito‟ sul traffico totale per gli anni fiscali dal 2011 al 2006 pari in media al 28,2%. Considerato che l‟annualità del 2006 è stata ritenuta estranea all‟addebito imputato a Vodafone e che in tale anno si è invece registrato un picco nel c.d. „traffico di transito‟ (41,3 %), si deve ridurre tale percentuale al 16,5%. Pertanto, tale percentuale di minuti deve essere scomputata dal traffico complessivamente veicolato da BT a Vodafone nel periodo di riferimento (ossia sino al mese di marzo 2005) ai fini della commisurazione del danno subito da BT a causa della condotta discriminatoria perpetrata da Vodafone.
    20. Con riguardo al traffico imputabile a BT Group e non invece alla parte attrice, il Consulente evidenzia una carenza nella documentazione fornita da BT Italia e offre nella tabella 9 della terza relazione supplementare (pag. 15) un conteggio del traffico totale con e senza traffico di titolarità di BT Group.
Questo giudice ritiene sia da escludersi dal computo del danno subito da BT il traffico imputabile a BT Group (pag. 14 terza relazione supplementare di CTU, depositata il 20 settembre 2014). In primo luogo, poiché tra i clienti di BT Group vi era proprio BT Italia e, come ricordato dal CTU (pag. 14 terza relazione supplementare), non è stato possibile visionare alcun contratto globale né scegliere quali contratti locali visionare. In ciò il diniego di BT di aver accesso ad altri contratti, diversi da quelli dalla medesima selezionati, deve essere tenuto in considerazione.
Inoltre si può supporre uno stretto legame infragruppo tra BT Group e la locale BT Italia. Di conseguenza il loro rapporto si presume non essere vincolato alle logiche di mercato e non può dirsi influenzato dal dedotto comportamento abusivo di Vodafone.
Devono quindi essere esclusi, ai fini della quantificazione del danno subito da BT, quei minuti che siano originati dalla società madre BT Group e non invece dalla odierna attrice BT Italia.
    21. L‟ultimo quesito oggetto della terza relazione supplementare concerne la quantificazione del danno che BT avrebbe subito nella parte dell‟anno fiscale 1999/2000 oggetto delle domande attoree, ossia dal giugno 1999. È lo stesso Consulente ad evidenziare la difficoltà nel determinare tale valore poiché non vi sono evidenze circa i minuti di traffico di provenienza di BT terminati su rete Vodafone né sul fatto che in quel periodo Vodafone avesse offerte rivolte alla clientela business di rete fissa (pag. 43 terza relazione supplementare di CTU). Ciò detto, in considerazione dell‟andamento del traffico negli anni successivi e della risalenza dell‟accordo di interconnessione tra BT e Vodafone al 7 gennaio 1999 (sottoscritto fra le allora Omnitel e
Albacom), si ritiene congruo ipotizzare la sussistenza di un danno subito da BT anche nel periodo giugno 1999-2000.
A tal riguardo è condivisibile il ragionamento seguito dal Consulente che si fonda sull‟assunto che il traffico generato da BT e terminato su rete Vodafone sia cresciuto nel periodo dal 1999- 2000 all‟anno fiscale 2001, allo stesso tasso al quale è cresciuto nei tre anni successivi. Il CTU ha dunque commisurato tale crescita media del traffico negli anni fiscali dal 2001 al 2004 nel valore percentile del 34,2% e – tenuto conto del dato relativo all‟anno fiscale 2001 in termini di minutaggio pari a 105 milioni di minuti nonché la durata del periodo giugno 1999-marzo 2010 (di 10 e non di 12 mesi) – ha identificato un valore pari a circa 65,2 milioni di minuti (vedi pagg. 43-44 terza relazione supplementare di CTU).
Il Consulente commisura poi il margine unitario ed il margine complessivo perso da BT sul periodo di cui si discute, ossia dal giugno 1999 al marzo 2000, arrivando ad una valorizzazione del danno subito per tale parentesi temporale tra 2,2 e 2,6 milioni di euro.
Dunque, nel calcolo del danno subito da BT deve aggiungersi un‟ulteriore voce pari a circa 65,2 milioni di minuti che trova fondamento nel traffico di BT terminato nelle reti Vodafone nel periodo da giugno 1999 a marzo 2000 e che si può ricondurre ad una quantificazione pari a 2,5 milioni di euro, alla luce della tabella di cui alla pagina 48 della terza relazione supplementare di CTU.
    22. Tutto quanto sopra premesso, si ritiene che debba riconoscersi a BT un danno da commisurarsi tenendo in considerazione costi commerciali al 5% e sconto intervallare, escludendo il traffico di transito (commisurato come ricordato nel 16,5% del totale) nonché il traffico imputabile a BT Group e limitando il periodo da considerare dal giugno 1999 al marzo 2005. Si ritiene poi che sia preferibile tenere in considerazione i dati di cui alla terza relazione supplementare di CTU, poiché hanno il riscontro del data warehouse messo a disposizione dall‟attrice BT. Ciò detto, il danno subito da BT ivi commisurato in via equitativa, tenendo in particolare conto delle tabelle riepilogative di cui a pagg. 13, 47 e 48 della terza relazione supplementare di CTU, è pari a 12 milioni euro, tale cifra tenendo adeguatamente conto dell‟attualizzazione in valori 2015 sulla base dei tassi forniti dalla Banca d‟Italia. Detta cifra è da considerarsi liquidata in via equitativa, in moneta attuale e comprensiva degli interessi maturati ad oggi. Saranno dovuti gli ulteriori interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia al saldo.

    23. Le conclusioni definitive circa le domande svolte dalle parti e l‟accoglimento della domanda attorea in termini quantitativi significativamente inferiori alla richiesta inducono a liquidare le spese in favore di parte attrice, commisurandole in relazione alla minor somma attribuita. Tali spese sono liquidate, in base al DM. N. 55/2014, operando un aumento di successive percentuali del 30% a norma dell‟art. 6 fino alla concorrenza del valore della somma liquidata, e così in totale €. 95.000. Si ritiene poi di operare un aumento del 50% in relazione alla particolare complessità ed importanza dell‟opera prestata (ex art. 4 , comma I). Conseguentemente il compenso è liquidato in favore di parte attrice nella somma di €. 142.500, oltre spese generali ed accessori nella misura di legge.
Il complesso dibattito svoltosi nel corso della CTU e il parziale accoglimento delle tesi di parte attrice, rispetto alle ben maggiori domande formulate, inducono a porre a carico di parte attrice un terzo delle spese di CTU ed i rimanenti due terzi a carico della convenuta, nella misura già liquidata in corso di causa.


 

P.Q.M.

 

il Giudice, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio fra le parti,
accerta che i comportamenti posti in essere da Vodafone Omnitel n.v., ora Vodafone Omnitel b.v., descritti negli atti di causa concretano abuso di posizione dominante, ai sensi dell‟art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell‟Unione Europea, in danno di BT Italia S.p.A. e, per l‟effetto, condanna Vodafone Omnitel b.v. al risarcimento dei danni cagionati a BT Italia S.p.A., in conseguenza della condotta illecita e anticoncorrenziale sopra evidenziata, liquidando detti danni nella somma di €. 12.000.000,00, in moneta attuale e comprensiva degli interessi maturati ad oggi, con gli ulteriori interessi al tasso legale, dalla presente pronuncia al saldo;
condanna Vodafone Omnitel b.v. al pagamento in favore di BT Italia S.p.A. delle spese processuali, liquidate nell'ammontare di €. 142.500 a titolo di compenso, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed agli accessori nella misura di legge;
pone a carico di BT Italia S.p.A. un terzo delle spese di CTU, nella misura già liquidata in corso di causa, e pone i residui due terzi a carico di Vodafone Omnitel b.v..
Così deciso in Milano il 24 luglio 2015.

Il Giudice
dott. Marina Anna Tavassi

 

 


REPUBBLICA  ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA “A”


Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Marina Tavassi, ha pronunciato la seguente

 

 



SENTENZA

 

nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione del 21 luglio 2010 notificato da:
BT Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore (detto Rino) Caiazzo e Daniele Pilla ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Milano, Via Ariosto 6, giusta delega in atti

 



- attrice -


contro

 

Vodafone Omnitel n.v. (ora Vodafone Omnitel b.v.), rappresentata e difesa dagli avv.ti Prof. Mario Libertini, Alessandro Boso Caretta e Stefano Modenesi ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Via Casati 1, giusta delega in atti



- convenuta -

 

OGGETTO: azione antitrust follow on - risarcimento del danno



CONCLUSIONI

 

All‟udienza di precisazione delle conclusioni del 10 dicembre 2014 i procuratori delle parti concludevano come segue.
Conclusioni di BT Italia S.p.A.:
BT Italia, richiamato integralmente tutto quanto già dedotto ed eccepito in atti, rilevato che la relazione del CTU presenta errori sostanziali e non ha risposto a tutti i quesiti postigli, chiede che
il Giudice, respinta ogni contraria istanza, voglia disporre la rinnovazione della CTU con diverso consulente d‟ufficio, e comunque:
In via pregiudiziale
- Ai sensi dell‟art. 267 TFUE, disporre rinvio della presente controversia alla Corte di Giustizia sottoponendole il seguente quesito:
“Dica la Corte se, ai sensi del diritto dell’Unione Europea, nei casi di abuso di posizione dominante per discriminazione da compressione dei margini in cui il concorrente vittima dell’abuso abbia acquistato componenti intermedi (beni o servizi) dall’autore dell’infrazione, il concorrente danneggiato può chiedere solo il risarcimento nella misura della riduzione del suo margine di guadagno (lucro cessante), eventualmente inclusivo del mancato guadagno per perdita di volumi, o anche l’aumento dei costi a suo carico generato dall’infrazione (danno emergente, denominato anche danno da overcharge)”.

In ogni caso
    1. accertare e dichiarare la responsabilità di Vodafone ai sensi dell‟art. 102 TFEU e dell‟art. 2043 c.c.;
    2. condannare Vodafone a risarcire a BT Italia la somma di € 264,29 milioni per il danno sofferto in termini di differenziale di prezzo di terminazione ed in conseguenza della violazione dell‟obbligo imposto dalla normativa sulla concorrenza e quella regolatoria che impone a Vodafone di offrire la terminazione all‟ingrosso a prezzi orientati ai costi senza operare discriminazioni tra proprie divisioni commerciali e concorrenti;
    3. in via alternativa a quanto richiesto sub 2, condannare Vodafone al risarcimento del danno sofferto da BT Italia in termini di costi totali del servizio di fonia fisso-mobile non remunerati dai relativi ricavi (“prezzo negativo” o danno emergente o perdita monetaria pari ad € 64,49 milioni) oltre al mancato margine di profitto, nella misura complessiva di € 264,29 milioni o quella diversa somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa;
    4. inoltre, condannare la convenuta a risarcire a BT Italia la somma di € 7,55 milioni per il danno di cui al precedente punto 2 relativamente al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, ovvero nella maggiore o minor somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa;
    5. nonché condannare la convenuta a risarcire a BT Italia € 7,1 milioni per danno da perdita di
chance.
Tutte le predette somme devono essere maggiorate degli interessi legali e rivalutazione dal giorno della domanda fino alla data di effettivo soddisfo.
In subordine, valutata la sussistenza di fondati motivi per discostarsi dalle conclusioni cui giunge la relazione del CTU nel calcolo del danno sofferto da BT Italia, voglia il G.I.:
    6. relativamente al danno di cui al punto 2, condannare Vodafone alla maggior somma ritenuta di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa, tenendo conto dei limiti denunciati presenti nella relazione del CTU e consistenti nel non aver calcolato il danno da overcharge con riferimento ai costi effettivi di Vodafone e comunque nell‟aver stimato tale danno ipotizzando erroneamente che, in presenza di tariffe di terminazione all‟ingrosso più basse, BT Italia avrebbe trasferito l‟80% di tale risparmio ai suoi clienti, beneficiando solo del 20% della riduzione del costo di terminazione on-net, ovvero assumendo erroneamente che, nel caso in cui Vodafone avesse praticato prezzi al dettaglio più elevati, BT Italia avrebbe seguito tale incremento solo in misura del 20%, oltre a € 7,55 milioni, ovvero la maggiore o minor somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa per il danno relativo al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, e € 7,1 milioni per danno da perdita di chance.
In via ulteriormente gradata, voglia il G.I.
    7. condannare Vodafone al risarcimento in misura pari al danno integrale massimo identificato nella relazione del CTU in base alla ponderazione del traffico peak/off-peak e con costi commerciali pari al 20% dei costi di rete, senza applicare alcuna riduzione percentuale, e quindi nella misura di € 128.438.370, oltre a € 7,55 milioni per il danno relativo al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, ovvero la maggiore o minor somma che il G.I. riterrà di giustizia, determinandola eventualmente in via equitativa per il danno relativo al periodo compreso tra giugno 1999 e marzo 2000, e € 4.345.988 per danno da perdita di chance come calcolato dal CTU, maggiorati di interessi legali e rivalutazione dal giorno della domanda fino alla data di effettivo soddisfo.
In ogni caso, si condanni Vodafone al pagamento integrale delle spese di giudizio.
Conclusioni di Vodafone Omnitel n.v.:
Vodafone Omnitel n.v., trasformatasi con decorrenza dal 16 dicembre 2013 in Vodafone Omnitel b.v. per atto del 13 dicembre 2013 del Notaio Johannes Daniel Schoonbrood di Amsterdam (Olanda) iscritto in data 20 dicembre 2013 (nel prosieguo "Vodafone" o "Vodafone Omnitel"), rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Mario Libertini, Alessandro Boso Caretta e Stefano Modenesi, richiamata ogni propria domanda, eccezione e difesa, precisa come segue le proprie
Conclusioni
Voglia, l‟Ecc.mo Tribunale adìto, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa:
in via pregiudiziale e/o preliminare
    a) dichiarare inammissibili o comunque improcedibili e prescritte le domande avversarie; in via principale nel merito
    b) rigettare tutte le domande formulate dall‟attrice in quanto infondate.
Ci si riporta alle istanze istruttorie articolate con la memoria ex art. 183, VI comma, n. 2, c.p.c. dell'11 marzo 2011 e con la memoria ex art. 183, VI comma, n. 3, c.p.c. del 4 aprile 2011, nonché all' istanza di rimessione in termini ex art. 153, co. 2, c.p.c. del 21 marzo 2014.
Con riferimento alle valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio, si insiste nelle deduzioni e nei rilievi svolti nel corso del giudizio, in particolare attraverso le memorie e le osservazioni prodotte dai consulenti tecnici di parte, i rilievi formulati nell'ambito delle riunioni peritali e delle udienze, e le note difensive.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

    1. Con atto di citazione notificato in data 7 luglio 2010, la società BT Italia ha convenuto in giudizio Vodafone dinanzi a codesto Tribunale, instaurando una controversia di natura risarcitoria di tipo follow-on, traente origine dall‟istruttoria dell‟Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Agcm”) nota come procedimento A/357 ed avente ad oggetto comportamenti posti in essere dai tre principali operatori nazionali di rete mobile: Telecom Italia Mobile S.p.A., Wind Telecomunicazioni S.p.A. e la stessa Vodafone. Il 22 dicembre 2010 si costituiva in giudizio Vodafone, la quale eccepiva l‟inammissibilità ed improcedibilità delle domande di BT Italia e ne chiedeva il rigetto in quanto infondate. All'udienza dell'11 gennaio 2011, il Giudice concedeva i termini di legge per il deposito di memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., fissando per la discussione delle eventuali istanze istruttorie l'udienza del 19 aprile 2011. Con ordinanza del 20 maggio 2011, il G.I., a scioglimento della riserva assunta all‟udienza del 19 aprile 2011 rigettava le richieste di prova testimoniale e disponeva consulenza tecnica d‟ufficio, nominando CTU il Prof. Carlo Scarpa, fissando udienza per il giuramento per il 28 giugno 2011 ed invitando le parti a depositare una breve nota sui punti da sottoporre al CTU entro cinque giorni prima dell'udienza. All‟udienza del 28 giugno 2011, il CTU prestava il giuramento di rito e il G.I. formulava i quesiti per i quali veniva disposta la consulenza, aventi ad oggetto, inter alia, la definizione del mercato rilevante, l‟accertamento dell‟effettiva sussistenza dell‟abuso – per il quale uno dei quesiti richiedeva che venisse indicato il costo sostenuto da Vodafone per la fornitura dei servizi di terminazione alle proprie divisioni commerciali – e, in caso affermativo,del danno sofferto da BT Italia, verificando anche se la società attrice avesse traslato in tutto o in parte l‟overcharge (ovverosia l‟extra-costo del servizio di terminazione fisso-mobile) sui clienti finali utilizzando lo strumento del pass-on. Con ordinanza in data 11 ottobre 2011, alla luce del diniego opposto dall‟Agcm a fornire le informazioni e la documentazione richieste dal G.I. su istanza di BT Italia, il G.I. disponeva l'anticipazione dell‟udienza già fissata per il 28 marzo 2012 alla data del 22 novembre 2011. A tale udienza il G.I., considerata la disponibilità manifestata da Vodafone attraverso il proprio CTP a rendere accessibile al CTU la versione riservata della CRI e della sua documentazione contabile, invitava Vodafone a trasmettere detta documentazione al CTU e quest'ultimo a individuare le parti della documentazione utili ai fini dell‟espletamento dell‟incarico e che dovevano essere offerte in visione anche ai difensori ed al CTP di parte attrice. Eseguiti gli accertamenti peritali, il CTU trasmetteva la bozza del proprio elaborato alle parti, le quali formulavano le rispettive osservazioni. BT Italia chiedeva alcune modifiche alla bozza di relazione. Il CTU depositava il proprio elaborato in data 19 dicembre 2012, senza accogliere le proposte di modifica di BT Italia. All‟udienza del 19 dicembre 2012, il G.I. assegnava alle parti termine per note di commento alla relazione fino al 25 gennaio 2013 e fino al 15 febbraio 2013 per repliche. All‟udienza del 16 aprile 2013 BT Italia insisteva nella richiesta di integrazione di CTU. A scioglimento della riserva assunta a tale udienza, con ordinanza 11 maggio 2013 il G.I. disponeva un‟integrazione delle indagini di consulenza chiedendo al CTU, tra l‟altro, di assumere, per la stima del costo di terminazione on-net, i valori già considerati dall‟Agcm e assegnandogli termine fino al 30 settembre 2013 (“Relazione Supplementare”). All‟udienza del 26 novembre 2013, il G.I. assegnava al CTU 90 giorni per il deposito dell‟ulteriore integrazione di consulenza (“Seconda Relazione Supplementare”), invitando il CTU a regolare i termini per eventuali memorie di parte e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all‟udienza del 25 marzo 2014. Con istanza depositata in data 21 marzo 2014, Vodafone chiedeva, previa rimessione in termini ai sensi dell‟art. 153 c.p.c., di essere autorizzata alla produzione in giudizio di alcuni documenti, asseritamente recapitati in forma anonima presso la propria sede di via Lorenteggio n. 240 in Milano. Vodafone riferiva che alcune parti del documento riguardavano aspetti commerciali (e altri accordi) tra BT Italia e Telecom Italia potenzialmente rilevanti ai fini della valorizzazione del danno chiesto da BT Italia. All‟udienza del 25 marzo 2014, Vodafone chiedeva l‟acquisizione agli atti di tale documentazione e, sulla base di quella, un‟integrazione di CTU. BT Italia si opponeva alla richiesta di Vodafone eccependone la tardività, inammissibilità e, comunque, l‟irrilevanza ai fini della decisione. A scioglimento della riserva assunta all‟udienza, con ordinanza del 28 marzo 2014, il G.I. fissava udienza per il 4 aprile 2014 per un confronto sul tema tra le parti ed il CTU. A tale udienza, il G.I. chiedeva al CTU di esaminare i documenti depositati da Vodafone per verificare se contenessero elementi utili ai fini della causa e lo invitava a riferire l‟esito degli accertamenti all'udienza del 29 aprile 2014. A quest‟ultima udienza, anche alla luce delle osservazioni formulate da BT Italia rispetto all‟integrazione dell‟elaborato peritale, il G.I. disponeva un ulteriore supplemento d‟indagine (“Terza Relazione Supplementare”), assegnando termine per il deposito della relazione al 22 settembre 2014 e fissando udienza per la precisazione delle conclusioni per il 1 ottobre 2014. All‟udienza del 10 dicembre 2014 le parti precisava le loro conclusioni. Inoltre, alla stessa udienza, la difesa di BT Italia suggeriva al G.I., nelle more del deposito delle memorie conclusionali e repliche delle parti, di voler esercitare la facoltà prevista dall‟art. 15.1 del Regolamento (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002, richiedendo alla Commissione Europea un parere in merito a due questioni relative all‟applicazione delle regole di concorrenza comunitaria in tema di overcharge ritenute rilevanti ai fini della decisione. All‟esito dell‟udienza il G.I. rigettava la richiesta di parte attrice, riservandosi comunque di valutare l‟opportunità di richiedere motu proprio un parere alla Commissione e assegnava alle parti termini ex art. 190 c.p.c. per memorie conclusionali e repliche. Assolto tale incombente la causa viene in decisione.
    2. Come da conclusioni sopra richiamate, la pretesa di parte attrice si configura come un‟azione risarcitoria per abuso di posizione dominante che sarebbe stato commesso in suo danno da parte di Vodafone in violazione dell‟articolo 102 del TFUE o per condotte illecite e anticoncorrenziali in violazione degli artt. 2598 o 2043 c.c.. Si tratta di un‟azione di tipo follow on poiché, da un punto di vista tanto cronologico quanto funzionale, segue il procedimento A357 (Tele2/Tim-Vodafone-Wind) avviato dall‟Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e si fonda, in particolare, sulla CRI (“comunicazione delle risultanze istruttorie”) del 28 luglio 2006. Nel corso del citato procedimento, Vodafone ha presentato proposte di impegni che sono state accettate dall‟Autorità. L‟accertamento compiuto dall‟Autorità e, concluso con il provvedimento 17131, è stato in seguito confermato dal Tar Lazio (Sent. 2900/08) e dal Consiglio di Stato (Sent. 2438/2011).
Nel procedimento A357 non è stato imputato a Vodafone un comportamento di prezzo eccessivo di terminazione (essendo questo prezzo regolato), bensì un trattamento discriminatorio interno/esterno, onde appare corretta l‟adozione del criterio del margin squeeze cui peraltro BT Italia ha fatto riferimento fin dal principio nell‟atto di citazione (vedi anche le domande formulate in via alternativa nella parte conclusiva di detto atto) e costantemente nel corso dello svolgimento delle operazioni di consulenza.
Il margin squeeze è una forma di abuso discriminatorio corrispondente alla violazione del principio di parità interno/esterno, che crea un‟artificiosa asimmetria concorrenziale, ritenuta secondo parte attrice dalla giurisprudenza quale forma di concorrenza sleale.

    3. Occorre anzitutto analizzare alcune questioni prodromiche alla trattazione della causa.
Si ritiene superata l‟eccezione di parte convenuta volta a veder dichiarata la nullità dell‟atto di citazione per carenza dei presupposti di cui all‟art. 164 n. 4 c.p.c.. Ed, infatti, come già riconosciuto da questo stesso GI, con ordinanza del 20.05.2011, gli assunti contenuti nell‟atto di citazione de quo risultano soddisfare le condizioni di cui al citato art. 164 n. 4 c.p.c. nell‟ottica dell‟azione follow on, ciò anche in ragione delle precisazioni fornite nelle successive memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c. ed ai riferimenti contenuti nella documentazione prodotta fin dall‟atto di citazione, così da rendere le proposte domande e le ragioni di fatto e di diritto che le sostengono articolate in maniera sufficiente, pienamente idonea a farne comprendere la portata ed a consentire alla convenuta di svolgere le proprie difese.
   4. Questo giudice si è altresì già pronunciato, con propria ordinanza del 20 maggio 2011, circa il valore probatorio della CRI. Con tale ordinanza, il G.I. ha infatti rilevato che tanto la CRI quanto il Provvedimento Finale “forniscono quantomeno elementi indiziari a favore della tesi di parte attrice, idonei a fornire quel substrato probatorio che ben può essere sottoposto a verifica tramite gli accertamenti da demandare ad un nominando CTU”. Al riguardo, è utile richiamare il giudizio espresso dalla Corte di Cassazione (Sent. n. 3640 del 13.2.2009 Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro-ANCL c. Inaz Paghe s.r.l.; conformi: Cass. sez. III, n. 5941 e n. 5942/2011) secondo cui il valore di “prova privilegiata” da attribuire ai provvedimenti dell‟Agcm, nei giudizi risarcitori follow on, è da intendersi limitato ai provvedimenti di carattere decisorio, con i quali, definita l‟istruttoria e concluso il contraddittorio con le parti, viene irrogata la sanzione o disposta l‟archiviazione. Tuttavia, se è vero che la CRI rappresenta un atto endoprocedimentale individuale, valido per ciascuna parte, non può ignorarsi quanto dalla stessa CRI risulta a carico di Vodafone, secondo le indagini condotte dall‟Agcm, e quanto emerge dal provvedimento finale sanzionatorio adottato nei confronti di Telecom e Wind (divenuto definitivo come detto a seguito delle sent. 2900/08 e 2902/08 del TAR Lazio e della sent. del Consiglio di Stato depositata il 20 aprile 2011) per comportamenti analoghi a quelli originariamente imputati a Vodafone secondo le risultanze istruttorie contenute nella CRI. Questo giudice ritiene pertanto che la CRI ed il provvedimento n.17131 (pur non destinato alla convenuta Vodafone) offrano quantomeno elementi indiziari a favore della tesi di parte attrice e sono perciò idonei – come detto
– a fornire il necessario substrato probatorio, tanto da aver indotto all‟ammissione della CTU.


    5. Un‟ulteriore questione, oggetto di ampio dibattito tra le parti in corso di causa, riguarda il fatto che il procedimento A357 si sia concluso nei confronti di Vodafone, a seguito dell‟accettazione da parte dell‟Agcm degli impegni presentati, rendendoli obbligatori per la proponente. Pertanto, il provvedimento 17131 che ha concluso il procedimento A357 non ha riguardato direttamente Vodafone. In questo caso, tale circostanza non incide sul valore di elementi indiziari tanto del provvedimento 17131 quanto della CRI del 28 luglio 2006. In tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato nella propria sentenza 2438/2011 dove afferma: “Il Collegio condivide appieno quanto al riguardo ritenuto dal primo giudice laddove, evidenziato che, dopo l’accettazione degli impegni, alcun ulteriore accertamento o approfondimento è stato effettuato nei confronti di Vodafone la cui posizione è stata perciò completamente stralciata, ha comunque osservato che, in generale, la decisione con impegni non comporta infatti alcuna immunità sul piano civilistico ma rende solo più difficile il proficuo esperimento delle azioni risarcitorie. Va parimenti disatteso l’assunto secondo cui con l’accettazione degli impegni proposti da Vodafone l’Autorità avrebbe implicitamente ma necessariamente concluso per la qualificazione di “non gravità” dell’illecito e, conseguentemente, per la non sanzionabilità dell’abuso anche nei confronti delle appellanti”. Non si ritiene pertanto dirimente il fatto che il procedimento A357 si sia concluso nei confronti dell‟odierna convenuta a seguito di accettazione degli impegni dalla medesima proposti e non invece con provvedimento finale dell‟Autorità. Si tornerà sul punto in seguito.
    6. Nel difendersi dalle censure sollevate da parte attrice, la convenuta ha poi eccepito che il comportamento anticoncorrenziale ad essa imputato da BT non potrebbe dare ingresso all‟accertamento della totalità del danno invocato da quest‟ultima, in quanto il relativo diritto non potrebbe trovare in parte tutela per essere maturato il termine prescrizionale di cinque anni, previsto per gli illeciti di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. ed applicabile anche alle fattispecie di illecito anticoncorrenziale, quale indubbiamente prospettato nel caso di specie. Vodafone in particolare insiste nell'eccezione di prescrizione poiché a suo avviso il diritto al risarcimento azionato da BT con l'atto di citazione notificato in data 7 luglio 2010 andrebbe considerato prescritto per i danni occorsi anteriormente al 7 luglio 2005. L'eccezione di Vodafone muove dalle seguenti premesse: agli illeciti concorrenziali si applica la prescrizione quinquennale; il termine decorre dal giorno in cui il soggetto che lamenta di aver subito il danno abbia avuto o abbia potuto avere, usando l'ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del fatto (ipoteticamente) produttivo di danno risarcibile, e quindi, nel caso di BT, non più tardi del giorno in cui è stato adottato dall'Agcm il provvedimento di avvio dell'istruttoria A357 (provvedimento n. 14045 del 23 febbraio 2005, doc. 15 di Vodafone).
Si deve a questo punto rilevare che, con memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c., l‟attrice ha replicato all‟eccezione di prescrizione avanzata da Vodafone provando di aver interrotto la prescrizione in due successive occasioni, ossia con raccomandate A/R in data 10.02.2009 e 18.02.2010 (si veda il documento prodotto sub 10 da BT con i relativi avvisi di ricezione).
Si ritiene interruttiva della prescrizione la raccomandata A/R spedita da BT in data 10 febbraio 2009 e la cui ricezione, adeguatamente provata dall‟attrice tramite avviso di ricezione, è avvenuta in data 13.2.2009. Come noto, infatti, l‟interruzione della prescrizione si determina alla data della ricezione dell‟atto interruttivo da parte del destinatario. Ed, anzi, la Cassazione Civile con propria sentenza n. 13488 del 20 giugno 2011 ha affermato che la produzione in giudizio della lettera raccomandata con relativa ricevuta di spedizione dall‟ufficio postale, anche in mancanza dell‟avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione e da essa, pertanto, consegue la presunzione della sua conoscenza ai sensi dell‟art. 1335 c.c. da parte del destinatario. Dunque, nel caso di specie, l‟interruzione della prescrizione si è realizzata in data 13 febbraio 2009.
Non vi è infatti dubbio alcuno che già con tale prima comunicazione BT avanzava la propria pretesa a vedersi riconosciuto un risarcimento del danno subito a seguito della condotta di Vodafone in quanto riteneva ed affermava “di aver subito un pregiudizio dal comportamento di Vodafone, così come risultante dagli atti del procedimento antitrust A357” (si veda il doc. 10 di BT). A tal riguardo, non ha alcuna rilevanza che BT, nella citata comunicazione, prospettasse una definizione della vicenda in via bonaria, potendosi comunque univocamente dedurre da tale affermazione la propria volontà non solo a denunciare l‟esistenza dei danni, ma altresì a chiederne adeguato ristoro.
Pur considerandosi interruttiva della prescrizione la citata missiva del 10 febbraio 2009, si segnala che nel testo della raccomandata A-R spedita da BT a Vodafone il 18 febbraio 2010 si legge: “con la presente formulo nuovamente, ai fini interruttivi dei termini prescrizionali, richiesta di risarcimento a nostro favore di tutti i danni subiti da BT Italia a causa dei comportamenti posti in essere da Vodafone Omnitel N.V. (…)”. Con ciò ribadendo la finalità sottesa ad entrambe le comunicazioni, ossia la formulazione di una richiesta di risarcimento del danno nei confronti di Vodafone.
Per completezza, è utile ricordare che, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza 2 febbraio 2007, n. 2305), l‟azione di risarcimento del danno anticoncorrenziale si ascrive nel novero delle azioni di cui all'art. 2947 c.c.
. Tale norma va letta in combinato con il disposto dell'art. 2935 c.c., che prevede che il termine di prescrizione per le azioni fondate su un fatto illecito decorra dal momento in cui il diritto possa essere fatto valere. Più precisamente, i giudici di legittimità, pur parlando del danno antitrust come appartenente alla categoria dei c.d. “danni lungolatenti”, hanno precisato che il momento in cui il diritto può essere fatto valere corrisponde al momento percettivo del danno da parte della vittima dell'illecito. La Corte, quindi, ha respinto sia la tesi della compagnia assicurativa, che mirava a retrodatare il momento percettivo dell‟illecito alla data della sottoscrizione della polizza, sia quella dell‟attore, che mirava a giovarsi della data della pubblicazione del provvedimento sanzionatorio del cartello fra le imprese assicuratrici da parte della Agcm, avendo cura di precisare che la decorrenza fissata dal momento di pubblicazione della decisione dell'Autorità avrebbe determinato un ingiusto squilibrio della risposta sanzionatoria in detrimento degli attori, i quali per il risarcimento del danno anticoncorrenziale non avrebbero potuto giovarsi dell'accertamento amministrativo delle autorità nazionali nei casi “stand alone”. La Corte, pertanto, ha interpretato il momento percettivo dell‟illecito come quello in cui può ritenersi, con un sufficiente grado di certezza, che la parte che lamenta il danno abbia potuto avere coscienza di aver subito un danno, soccorrendo a tale determinazione sia elementi presuntivi quali notizie di quotidiani, o circolazione delle informazioni tra gli addetti al settore, sia la qualificazione del soggetto attore nell‟ambito del mercato di riferimento (in tal senso si è già pronunciato questo stesso giudice nelle sentenze 3 aprile 2014, n. 4587/2014 e 15 ottobre 2014 n. 12043/2014).
Nel caso de quo, le parti sono peraltro concordi nel ritenere che il danno sia derivante da illecito extracontrattuale ai sensi dell‟articolo 2043 c.c. e che, pertanto, il diritto al risarcimento ad esso connesso si prescriva in 5 anni. Solo per completezza, si richiama perciò la sentenza con cui la Corte di Cassazione (n. 8110/2013 del 3 aprile 2013) si è espressa in senso contrario alla possibilità di assoggettare alla prescrizione decennale - tipica della responsabilità contrattuale - il diritto al risarcimento danni ex articolo 33 della legge n. 287/1990. La Corte ha affermato che il danno antitrust non scaturisce dalla stipulazione del singolo contratto tramite il quale l‟impresa si è procurata il sovraprofitto, ma dal comportamento anteriore di questa, di cui il contratto costituisce solo il passaggio finale. Da ciò deriva, secondo la Corte, che la condotta anticoncorrenziale si inquadra nell‟ambito della responsabilità precontrattuale. “Ciò che è da escludere – afferma la Corte - è che essa sia assoggettabile alla disciplina tipica dei contratti del settore assicurativo, o di altre figure contrattuali speciali, soprattutto per quanto concerne i termini di prescrizione dell'azione risarcitoria”, ricordando che “la giurisprudenza di questa Corte ha inquadrato la fattispecie di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 33 nell’ambito dell responsabilità extracontrattuale (…) ed ha ritenuto applicabile il termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 cod. civ.” A tale ultimo proposito non ignora questo giudice che con la già citata sentenza n. 8110/2013 (come pure con la sentenza n. 12551 del 22 maggio 2013) la Corte di Cassazione, a differenza della sentenza n. 2305/2007 pure sopra citata, ha indicato un decorso del termine prescrizionale di tipo “oggettivo”, indipendentemente dalla circostanza che il danneggiato sia venuto effettivamente a conoscenza del provvedimento dell‟Agcm e si sia potuto rendere conto di aver subito un danno ingiusto a causa delle condotte anticoncorrenziali accertate e sanzionate dalla stessa Autorità. Non va trascurato tuttavia che entrambi i casi riferiti hanno riguardo ad uno fra i tanti casi del “cartello” assicurativo nel settore r.c. auto, ove i soggetti danneggiati erano gli assicurati e pertanto consumatori del tutto ignari delle dinamiche del mercato e della eventualità che vi fosse stato un accordo vietato fra imprese assicuratrici, idoneo a determinare un indebito aumento del premio a carico degli assicurati. Ciò quantomeno fino al momento in cui tale comportamento e tali accordi erano stati sanzionati dal provvedimento dell‟Agcm. Diversa è la situazione per l'ipotesi in cui il soggetto danneggiato sia un'impresa che operi nel medesimo mercato del preteso danneggiante, cui viene imputato un abuso di dominanza sul mercato. Un simile soggetto non può essere ritenuto estraneo alle dinamiche del mercato e ignaro dell'esistenza del comportamento che mira ad escluderlo o a ridurre i suoi margini di guadagno. È significativo che nel caso Teleunit/Vodafone (sent. 1° ottobre 2013, n. 12227, Giudice estensore Massari), ipotesi analoga a quella di specie, il giudice abbia considerato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno fosse quello quinquennale e iniziasse a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo abbia determinato la modificazione produttiva del danno all‟altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si era manifestata all‟esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (in tal senso, anche, Cass. n. 11119/2013; Cass. n. 26188/2011). Tale momento è stato individuato nell‟avvio del procedimento dell'Agcm (23.2.2005) e, nel caso concreto, la prescrizione non si è determinata, essendo la notifica dell‟atto di citazione intervenuta prima del decorso del termine così considerato.
Si devono infine richiamare i recenti casi Uno Communications/Vodafone (sentenza 3 aprile 2014, n. 4587/2014) e Fastweb/Vodafone (sentenza 15 ottobre 2014, n. 12043/2014) ove questo stesso giudice ha ritenuto che il dies a quo dal quale far decorrere il termine prescrizionale si debba collocare alla data dell‟apertura dell'indagine dell‟Agcm. Ciò in quanto fin dall‟apertura dell‟indagine l‟abuso di posizione dominante originariamente imputato a Vodafone sarebbe divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile per un operatore economico che necessariamente, usando l‟ordinaria diligenza, deve conoscere gli eventi del mercato in cui opera. In subordine, nel caso in parola, si poneva in rilievo il momento della pubblicazione degli impegni in quanto, con la proposizione degli impegni da parte di Vodafone e la successiva pubblicazione degli stessi (ove non si voglia ritenere addirittura con l‟apertura dell'indagine), l‟attrice, che nel caso di specie non era né denunciante né intervenuta nel procedimento, avrebbe potuto avere piena cognizione della fattispecie e della responsabilità imputata a Vodafone, indipendentemente dal successivo provvedimento di accettazione dell‟Agcm.

Non assume poi portata risolvente la diversa indicazione di cui all‟art. 10 della Dir. 2014/104, posto che la stessa deve ancora essere implementata nel nostro ordinamento (entro il 2016) e che la valutazione del caso di specie va fatta de iure condito. D‟altra parte il recepimento di dette indicazioni procrastinerebbe nel tempo il decorso della prescrizione e quindi sarebbe comunque sfavorevole alla tesi qui sostenuta dalla difesa di Vodafone.
Tutto quanto sopra premesso, questo giudice ritiene che la prescrizione sia di durata quinquennale e che il periodo prescrizionale debba iniziare a decorrere dal giorno in cui il danneggiato, con ordinaria diligenza, abbia avuto ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia. Nel caso de quo tale momento sembra potersi far risalire alla data della comunicazione della CRI e, cioè, al 28 luglio 2006, se non addirittura a quella dell‟assunzione del provvedimento di chiusura del procedimento nei confronti di Vodafone (24 maggio 2007) o del provvedimento finale nei confronti delle altre imprese coinvolte (3 agosto 2007). A ciò si aggiunga che, come ricordato, l‟attrice ha posto in essere un atto interruttivo della prescrizione tramite la raccomandata A-R indirizzata a Vodafone del 10 febbraio 2009 (e, successivamente, del 18 febbraio 2010) e ricevuta il 13.2.2009.
Non merita pertanto accoglimento l‟eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta con riguardo ai danni invocati da BT e fatti valere entro il quinquennio rispetto al dies a quo sopra individuato del 13 febbraio 2009. Di conseguenza, l‟esercizio della successiva azione giudiziale è parimenti nell‟ambito del successivo quinquennio.

    7. Ritiene questo giudice di non dover accedere alla richiesta formulata dalla difesa di parte attrice di richiedere un parere alla Commissione Europea né parimenti di disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. Ritiene infatti che sulla base delle indicazioni delle Comunicazioni della Commissione e della giurisprudenza della CGUE, cui in seguito si farà riferimento, vi siano gli elementi idonei a consentire la definizione del caso di specie.
    8. Al fine di introdurre la trattazione nel merito, appare pregiudiziale definire il mercato rilevante rispetto ai fatti di cui è causa. Tale definizione è infatti oggetto di disaccordo tra le parti in causa.
La difesa di BT Italia sin dai suoi primi scritti difensivi ha rilevato come l‟abuso di posizione dominante da compressione dei margini (margin squeeze) sarebbe stato commesso dalla convenuta nel mercato a monte dei servizi di terminazione fisso-mobile sulla rete mobile Vodafone. Ciò sulla base della giurisprudenza formatasi sul caso A357, dal quale il presente giudizio è scaturito, in quanto sia il Tar Lazio (con sentenza 23 gennaio 2008 n. 2900) sia il Consiglio di Stato (con sentenza 20 aprile 2011 n. 2438) hanno ritenuto che gli abusi di posizione dominante per i quali il Provvedimento Finale ha sanzionato Tim e Wind nel procedimento A357 sono stati commessi nel mercato a monte dei servizi all‟ingrosso di terminazione fisso-mobile (in seguito anche f-m) sulla rispettiva rete mobile, con effetti prodottisi anche nel mercato a valle dei servizi di fonia sulla direttrice f-m riservati alla clientela aziendale. Dunque, ad avviso di BT l‟abuso che sarebbe stato compiuto da Vodafone sul mercato cosiddetto upstream avrebbe prodotto i suoi effetti anche nel mercato a valle dei servizi di fonia fisso-mobile per la clientela business, ciò ad avviso dell‟attrice rilevando ai fini della quantificazione del danno prodotto, pur non essendo necessario ai fini dell‟esistenza di un abuso da margin squeeze. L‟attrice richiama a tal riguardo l‟orientamento della Corte di Giustizia dell‟Unione europea (causa C-52/09, Konkurrensverket/TeliaSonera AB e C-208/08, Deutsche Telekom) e secondo la quale la quota di mercato detenuta dall‟impresa dominante nel mercato a valle non rileva quale presupposto dell‟abuso, ma serve esclusivamente per misurarne gli effetti.
Di conseguenza, l‟abusività della condotta posta in essere dall‟impresa dominante nel mercato a monte sarebbe indipendente dalla detenzione di una posizione dominante anche sul mercato a valle (bastando su tale ultimo mercato la mera potenzialità di produzione di effetti anticoncorrenziali derivanti dal comportamento abusivo tenuto sul mercato a monte). In sintesi, l‟attrice BT ritiene che la posizione dominante detenuta da Vodafone nel mercato all‟ingrosso dei servizi di terminazione sulla propria rete mobile sarebbe di per sé sufficiente per qualificare la pratica di margin squeeze che sarebbe stata posta in essere dalla convenuta come abuso di posizione dominante, indipendentemente dal potere di mercato da essa detenuto nel mercato a valle, nel quale (in parte) si sono prodotti gli effetti dell‟abuso.
La convenuta Vodafone ritiene invece che la propria condotta oggetto di analisi nel presente giudizio non fosse suscettibile di produrre effetti anticoncorrenziali, proprio in considerazione della posizione marginale che essa avrebbe detenuto nel mercato a valle. Ed infatti, secondo la prospettazione della convenuta, il mercato rilevante "a valle" non sarebbe circoscritto ai servizi di fonia fisso-mobile, ma coinciderebbe con il più ampio mercato dei servizi di fonia (aziendale), o, più precisamente, dei servizi integrati di rete fissa e mobile rivolti ai clienti aziendali. Per risolvere il contrasto è utile richiamare l‟orientamento della Corte di Giustizia dell‟Unione Europea, secondo il quale: “l’abusività di una pratica tariffaria attuata da un’impresa verticalmente integrata in posizione dominante sul mercato all’ingrosso delle prestazioni ADSL intermedie e che conduce alla compressione dei margini dei concorrenti di detta impresa sul mercato al dettaglio delle prestazioni di connessione a banda larga ai clienti finali non dipende dall’esistenza di una posizione dominante di tale impresa su quest’ultimo mercato”.
(Konkurrensverket /TeliaSonera AB; n tal senso, si vedano anche: Sentenza TAR Lazio 23.1.2008 n. 2900; Sentenza Cons. Di Stato 20.04.2011 n. 2438).
Dunque, ciò che rileva ai fini della prova dell‟esistenza dell‟abuso da compressione dei margini è lo scarto non equo fra prezzo wholesale e retail, con potenziali effetti restrittivi a danno dei concorrenti nel mercato a valle; l‟eventuale posizione dominante anche sul mercato a valle da parte dell‟impresa verticalmente integrata è assolutamente irrilevante ai fini dell‟abuso.
Un‟ulteriore prospettazione del mercato rilevante nel caso di cui si discute viene offerta dal provvedimento 17131 dell‟Agcm (che conclude il procedimento A357). Ed infatti, stante l‟ambito di attività delle parti, l‟Autorità identifica quattro mercati di cui due pertinenti al caso in esame, ovvero: il mercato a monte (all‟ingrosso) dei servizi di terminazione sulla rete mobile di ciascun operatore (quindi, un mercato per ciascun operatore mobile, e Vodafone in particolare); il mercato a valle (al dettaglio) dei servizi di fonia fisso-mobile alla clientela aziendale (in questo mercato, non distinguendo per altro tra i diversi operatori dotati di rete mobile). Con riferimento al mercato “a monte”, il paragrafo 102 del provvedimento 17131 in particolare recita: “Al fine di fornire una corretta definizione, sotto il profilo merceologico, del mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione, è necessario tenere conto di due aspetti fondamentali che caratterizzano l’offerta dei servizi di telefonia al dettaglio, in particolare: 1) l’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, per cui una chiamata destinata al terminale mobile di un determinato utente non può essere sostituita con una chiamata destinata ad un altro utente; 2) l’applicazione del principio di “chi chiama paga” (CPP, Calling Party Pays), in base al quale il soggetto chiamante (ovvero colui che paga la terminazione) è differente dal soggetto che sceglie la rete sulla quale terminare la chiamata (il chiamato che ha sottoscritto l’abbonamento). Ciò implica che un operatore che vuole fornire ad un proprio cliente il servizio di telefonia deve disporre necessariamente del servizio di terminazione sulla rete del chiamato.” E ai punti seguenti (103-104) prosegue: “La titolarità di ciascuna rete in capo ad un solo gestore, unitamente all’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, fa s che ciascun gestore detenga una quota pari al 100% dell’offerta di servizi di terminazione sulla propria rete. 104. Per tali ragioni, anche in base ai risultati delle analisi recentemente compiute in materia dall’Agcom, si ritiene che, ai fini del presente procedimento, possano essere identificati tanti mercati distinti del prodotto quante sono le reti, in ciascuno dei quali il rispettivo gestore rappresenta l’unico offerente. Tale definizione è peraltro conforme a quella fornita dal nuovo quadro regolamentare comunitario (cfr. supra sez. V, 3) e pi in generale alla prassi comunitaria”. Ed, in particolare, la Raccomandazione della Commissione relativa ai mercati rilevanti di prodotti e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche suscettibili di una regolamentazione ex ante ai sensi della Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (in GUCE L. 114/45 dell‟8 maggio 2003) individua un certo numero di mercati, tra cui, il mercato „16‟ definito come “Voice call termination on individual mobile networks” ovvero terminazione delle chiamate sulle singole reti mobili.
Il mercato a valle viene invece identificato dall‟Agcm come una porzione del più grande mercato al dettaglio dei servizi di telefonia, porzione caratterizzata da tre aspetti o, meglio, da tre limiti. Ed, infatti, il mercato a valle, secondo la lettura offerta dall‟Autorità, è limitato: alla clientela aziendale, ai servizi di chiamata da telefoni fissi (e quindi di non considerare la telefonia mobile come sostituta di quella fissa), ai servizi di chiamata verso telefoni mobili (escludendo quindi i servizi di telefonia verso operatori fissi o internazionali).
Con riguardo in primo luogo al mercato a monte, si ritiene condivisibile l‟esigenza di una definizione del mercato puntuale, così come indicato dall‟Agcm, anche tenuto conto del fatto che non si ha alcuna sostituibilità tra la terminazione sulle diverse reti. Altrettanto condivisibili sono i dubbi sollevati dal CTU con riferimento alla difficoltà di valutare il mercato a monte in una prospettiva antitrust, indipendentemente dal mercato a valle. Ciò poiché, nel caso di specie, il mercato a monte rappresenta il “luogo” nel quale BT Italia acquista un input (il servizio di terminazione su rete mobile Vodafone) che le serve per competere a valle (dopo avere acquistato altri input, quali ad esempio i servizi di terminazione su altre reti mobili) nel mercato della telefonia al dettaglio. In altre parole, nel mercato a monte, gli operatori acquistano servizi intermedi la cui rilevanza sotto il profilo antitrust si fatica a comprendere senza nel contempo valutare come abbia luogo il suo utilizzo sul mercato finale. In aggiunta, sono i consumatori del mercato a valle a determinare i quantitativi degli acquisti delle imprese a monte. Infatti, è con la decisione del consumatore di effettuare una chiamata verso un telefono mobile che l‟impresa (nel caso in questione, BT) acquista i minuti di terminazione dall‟operatore mobile, così che di fatto BT decide solo “se” stipulare un contratto con Vodafone, ma non “quanto acquistare” dalla stessa Vodafone. Inoltre, anche la decisione circa “se” acquistare da Vodafone non rappresenta una vera “scelta” da parte di BT, poiché si tratta di un‟azione necessaria ad operare nel settore a valle.
Si ritiene condivisibile la prospettazione offerta dal consulente tecnico nella parte in cui precisa che - nel cosiddetto “mercato” a monte - si fronteggiano (i) un operatore con obbligo di vendita a condizioni fissate da un‟autorità esterna e (ii) acquirenti che devono per forza acquistare per poter vendere il prodotto finale ai clienti, i quali però non decidono quanto acquistare (questa decisione viene presa dai loro clienti). Si tratta dunque di un luogo di confronto tra venditori che hanno un obbligo di vendere qualunque quantità gli acquirenti vogliano acquistare, ed acquirenti che, se vogliono operare nel mercato a valle, devono acquistare qualunque quantità i loro clienti decidano. Non vi è dunque un controllo diretto degli operatori se non con riguardo alla decisione di operare nel mercato della telefonia e, dunque, in linea con la definizione offerta dall‟Agcm, il mercato a monte non può costituire un perimetro di autonoma valutazione dei comportamenti delle imprese e meno ancora, data la natura del margin squeeze, degli eventuali danni.
Procedendo ora a definire il mercato a valle, si è detto che, ad avviso della convenuta Vodafone, non dovrebbero considerarsi solo le chiamate da fisso a mobile, ma nel suo complesso il mercato della fonia ai clienti aziendali (tutte le chiamate originate sul fisso, sia fisso-fisso, sia fisso- mobile). Si deve tuttavia considerare che, se è vero che la sostituibilità tra telefonia fissa e telefonia mobile è aumentata, con riferimento al periodo di causa i due mercati apparivano piuttosto distinti, come emerge quanto meno dalle coeve relazioni della Autorità di settore.
Ad avviso di questo Giudice, dunque, è pienamente condivisibile e deve essere adottata la definizione di mercato rilevante fornita dall‟Autorità nel contesto del procedimento A357, peraltro corroborata negli ulteriori gradi di giudizio. Tale determinazione era peraltro stata assunta da questo stesso giudice nella propria sentenza n. 12043/2014 Fastweb/Vodafone. Risultano di conseguenza pertinenti al caso in esame il mercato a monte dei servizi di terminazione sulla rete mobile di ciascun operatore ed il mercato a valle dei servizi di fonia fisso- mobile alla clientela aziendale (non distinguendo, in quest‟ultimo caso, tra i diversi operatori dotati di rete mobile). Si è già ricordato che i due mercati sono evidentemente connessi, in considerazione del fatto che gli operatori usano acquistare input a monte, al fine di competere a valle nel mercato della telefonia al dettaglio. Si vuole poi richiamare la circostanza che Vodafone avesse una posizione marginale sul mercato al dettaglio dei servizi di telefonia fisso-mobile aziendale, detenendo una quota di mercato prossima al 2% del mercato (vedi tabella 13 pag. 41 relazione di CTU depositata il 23 novembre 2012). Ad avviso del consulente tale secondarietà permetterebbe di dubitare che Vodafone fosse in grado di tenere comportamenti tali da poter generare effetti anticoncorrenziali. Questo giudice ritiene d‟altra parte condivisibile l‟impostazione assunta dall‟Agcm e poi ripresa in ultima sede dal Consiglio di Stato nella sentenza 2438/2011, secondo la quale è di particolare rilievo
“la circostanza che tale obbligo (ndr. di non discriminazione) sia imposto indistintamente a tutti e quattro i gestori, a prescindere dalla quota detenuta da ciascuno di essi nel mercato a valle - che rileva solo ai fini dell’imposizione di un tetto al prezzo di terminazione - proprio a sottolineare come il controllo di una risorsa disponibile solo ai gestori (la terminazione sulla propria rete mobile) e non anche agli operatori terzi, può potenzialmente avere un’elevata valenza anticompetitiva con effetti sia sui concorrenti sia sui clienti”.
Di conseguenza, il mercato rilevante nel caso de quo fa riferimento (per la clientela aziendale) unicamente alle chiamate sulla direttrice fisso-mobile. Ciò in perfetta conformità con la definizione del mercato offerta dall'Agcm. Ed, infatti, al punto 113 del Provvedimento 17131 che ha concluso il procedimento A357 si legge: “Pertanto, alla luce dell’analisi istruttoria condotta, il mercato rilevante del prodotto ai fini del procedimento in oggetto è quello delle chiamate fisso- mobile alla clientela affari”. Peraltro tale ultima definizione è in linea con le analisi compiute dall‟Agcom nella Delibera n. 410/04/CONS, “Consultazione pubblica sulla identificazione ed analisi dei mercati dei servizi telefonici locali, nazionali e fisso-mobile disponibili al pubblico e forniti in postazione fissa per clienti residenziali e non residenziali, sulla valutazione di sussistenza del significativo potere di mercato per le imprese ivi operanti e sugli obblighi regolamentari cui vanno soggette le imprese che dispongono di un tale potere (mercati n. 3 e n. 5 fra quelli identificati dalla raccomandazione sui mercati rilevanti dei prodotti e dei servizi della commissione europea)” del 24 novembre 2004.
    9. Prima di procedere all‟analisi della consulenza tecnica, questo giudice ritiene di dover premettere che la stessa è da considerarsi condivisibile nel contenuto e che l‟attività di indagine ad essa sottesa è stata spiegata da parte del CTU in piena correttezza e nel pieno confronto con i CT delle parti. Si è già ricordato al punto 1 che precede che la consulenza tecnica conta di una prima relazione depositata in data 23.11.2012 e di tre successivi supplementi, conseguenza delle contestazioni avanzate dalle parti e dai loro CTP (rispettivamente depositati il 30.09.2013, il 17.03.2014 ed il 20.09.2014). La CTU offre una ricostruzione dettagliata di tutti gli elementi presi in considerazione e spiega in modo parimenti dettagliato le ragioni che hanno determinato le scelte effettuate. Si tratta peraltro di ragioni e decisioni maturate dopo ampio dibattito con i consulenti delle parti e a seguito di un‟analisi puntuale ed articolata dei dati forniti o reperiti e, comunque, verificati per i casi e nei limiti in cui ciò è stato possibile, tenuto conto della obiettiva difficoltà di pervenire a dati certi.
    10. Dopo aver definito il mercato rilevante nel contesto nel quale occorre ricondurre la valutazione della condotta imputata a Vodafone, questo giudice intende vagliare nel merito la sussistenza in capo a Vodafone di una condotta di abuso di posizione dominante.
Come già argomentato dall‟Agcm nel proprio provvedimento 17131, a chiusura del procedimento A357 (sez. VI, 2), la circostanza che ciascuna rete sia di proprietà di un solo gestore, unitamente all‟assenza di sostituibilità dal lato della domanda per i servizi di terminazione su una determinata rete, conferisce al MNO (Mobile Network Operator) un potere di mercato nell‟offerta dei servizi di terminazione sulla propria rete assoluto ed esclusivo. Vodafone, inoltre, (come Tim e Wind) gode di una piena autonomia di comportamento sia nei confronti dei concorrenti che degli utenti dei servizi di terminazione delle chiamate sulla propria rete e può a propria discrezione decidere se dare accesso alle proprie reti ad operatori alternativi di comunicazione, in particolare di rete fissa, non essendo stata soggetta a pressioni o vincoli da parte di concorrenti attuali o potenziali. Tutto ciò conferisce a Vodafone una posizione dominante nell‟offerta di servizi di terminazione sulla propria rete (Cfr. sent. CGCE del 14 febbraio 1978, Causa 27/76, United Brands, par. 65). Tale definizione della posizione dominante rispettivamente detenuta dagli MNO è pienamente conforme agli orientamenti nazionali e comunitari relativi al mercato della terminazione delle chiamate su reti mobili (Cfr. Delibera AGCOM n. 3/06/CONS del 12 gennaio 2006, “Mercato della terminazione di chiamate vocali su singole reti mobili (mercato n.16 fra quelli identificati dalla raccomandazione della Commissione europea n. 2003/311/CE): Identificazione ed analisi del mercato, valutazione di sussistenza di imprese con significativo potere di mercato ed individuazione degli obblighi regolamentari”; nonché la lettera della Commissione del 23 novembre 2005).
Come già affermato nella sentenza del Tribunale di Milano, Sez. I civ. (sent. Teleunit/Vodafone, 1° ottobre 2013, n. 12227, Giudice estensore Massari) dal provvedimento dell‟Agcm di avvio dell‟istruttoria in data 23.2.2005 risulta come Vodafone, Tim/Telecom e Wind siano stati considerati operatori in posizione di dominanza congiunta (la posizione congiunta non è stata poi confermata) nel mercato dei servizi all‟ingrosso di terminazione delle chiamate su rete mobili ed in posizione dominante singola nel mercato dell‟offerta dei servizi di terminazione sulla propria rete, considerata la titolarità di ciascuna rete in capo ad un solo gestore, l‟assenza di sostituibilità dal lato della domanda per i servizi di terminazione su una determinata rete e in generale l‟assenza di efficaci vincoli al potere di mercato dell‟operatore di rete mobile di terminazione.
In detto provvedimento si legge inoltre che “con riferimento ai comportamenti assunti nell’offerta di servizi di terminazione dai gestori mobili, ciascuno dei quali è dominante nel mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione sulla propria rete, l’applicazione, da parte di tutti e tre i gestori, di condizioni economiche per i servizi finali integrati di fonia fisso-mobile all’utenza business inferiori ai prezzi del solo servizio di terminazione da fisso a mobile offerto come fattore intermedio ai propri concorrenti, induce a ritenere che TIM, VODAFONE e WIND applichino condizioni economiche (prezzi di terminazione inferiori a quelli vigenti) o tecniche (modalità di raccolta e/o trasformazione del traffico) di favore nei confronti delle proprie divisioni commerciali nella vendita di servizi di terminazione. Ciò al fine di escludere quelle società che, avvalendosi di tali servizi di terminazione, operano in concorrenza con i gestori mobili nel mercato dei servizi integrati all’utenza business. Laddove verificati, tali comportamenti costituirebbero gravi abusi di posizione dominante, aventi l’effetto di alterare la concorrenza nell’offerta di servizi integrati di fonia alle aziende, in particolare per la componente fisso- mobile.” (pagg.18-19). Sulla base di tali rilievi quindi il provvedimento di avvio dell‟istruttoria ha considerato diverse ipotesi di violazione degli artt.81 e 82 del Trattato CE (ora 101, 102 TFUE) tra le quali, per quanto di interesse in questa sede, anche comportamenti discriminatori dei tre MNO Tim, Vodafone e Wind a favore delle proprie divisioni commerciali, consistenti nell‟offerta a queste ultime di servizi di terminazione fisso-mobile sulle rispettive reti a condizioni tecniche o economiche più favorevoli di quelle praticate a terzi.
Negli scritti conclusivi di parte convenuta nel presente procedimento la difesa fornisce spiegazioni idonee a motivare le ragioni di una simile scelta, senza tuttavia che tali motivazioni possano essere considerate idonee a legittimare un comportamento di discriminazione interno/esterno del tipo di quello contestato.
E‟ poi significativo - per replicare ai rilievi di Vodafone ancora ribaditi nella propria memoria di replica conclusiva - che dopo l‟avvio di tale istruttoria, a distanza di un anno e mezzo circa dall‟avvio delle indagini ed alla luce dei risultati di dette indagini, l‟Agcm non abbia provveduto ad archiviare nei confronti di Vodafone, ma abbia proseguito anche nei suoi confronti con la notificazione della CRI (cfr Comunicazione delle Risultanze Istruttorie del 20 luglio 2006). In tale documento di contestazione l‟Agcm ha concluso (per quanto di rilievo in questa sede) non solo riconoscendo Tim, Vodafone e Wind imprese dominanti ciascuna nel mercato della terminazione sulla propria rete, ma altresì ravvisando per ciascuna di esse condotte abusive consistenti nell‟applicazione di condizioni economiche e/o tecniche più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto a quelle praticate ai propri concorrenti al fine di eliminare o
restringere la concorrenza nei medesimi mercati all‟ingrosso della terminazione e nel mercato a valle contiguo nei servizi fisso-mobile all‟utenza aziendale.
Dal confronto effettuato delle offerte fisso-mobile business (per traffico on net e interaziendale) praticate dai tre MNO con i costi sottostanti di raccolta e terminazione fisso-mobile (cfr da pag.195 della CRI), è emerso anche per Vodafone che le condizioni praticate alle proprie divisioni commerciali ed alla propria clientela nel periodo 2000/settembre 2005 risultavano inferiori ai costi di raccolta e terminazione, non replicabili da parte di un concorrente anche ipotizzandone una pari efficienza. Con il citato provvedimento finale del 3 agosto 2007 l‟Agcm ha deliberato che le descritte condotte poste in essere da Tim e Wind costituissero distinti abusi di posizione dominante ed ha irrogato per entrambe le note sanzioni amministrative pecuniarie, poi confermate nei superiori gradi di giudizio.
Come già si è detto, per Vodafone il procedimento si è chiuso grazie all‟assunzione di impegni da parte della stessa, proprio in relazione ai rapporti negoziali con BT, ai sensi dell‟art. 14 ter, comma 1, L. n.287/1990. Tali impegni sono stati giudicati idonei da parte dell‟Agcm, che ha quindi ritenuto che per Vodafone il comportamento contestato fosse venuto meno.
Se è vero che la presentazione degli impegni non costituisce ammissione di colpevolezza, non può tuttavia ignorarsi che l‟art. 14 ter recita: “le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell'istruttoria. L'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall'ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l'infrazione.”. Nella specie, infatti, l‟Agcm ha preso in esame le misure correttive oggetto degli impegni presentati da Vodafone “in relazione alla loro idoneità a far venir meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell‟istruttoria”, cosicché detto esame non può prescindere dalla ricognizione degli aspetti anticompetitivi considerati in fase di avvio del procedimento e dalla verifica dell‟idoneità delle strategie promesse con gli impegni a far venir meno per il futuro i predetti profili anticoncorrenziali.
Si ritiene quindi che la valutazione di idoneità degli impegni da parte dell‟Autorità, nel rispetto del principio di proporzionalità, non possa che presupporre una condotta anticoncorrenziale (quantomeno ritenuta probabile alla luce dell‟istruttoria condotta e delle contestazioni articolate, non trattandosi di un semplice sospetto) in considerazione della strumentalità dei primi per elidere conseguenze distorsive della seconda (e non per fornire regole orientative del mercato a prescindere dall‟esigenza di eliminare condotte anticoncorrenziali).

In ogni caso, pur non volendo ritenere che le contestazioni contenute nella CRI facciano stato o costituiscano una prova privilegiata o comunque autorevole della sussistenza dell‟addebito, le stesse hanno trovato conferma nella CTU. Ed, infatti, l‟indagine svolta dal CTU ed i dati dal medesimo raccolti e analizzati - laddove identificano, quantomeno fino al 2004/2005, prezzi praticati da Vodafone inferiori ai costi (tale dato ricorre in tutte le relazioni depositate dal CTU) - confermano l‟esistenza di un differenziale negativo tra prezzo regolatorio della terminazione all‟ingrosso su rete Vodafone, secondo quanto pagato da BT Italia, e prezzo di servizio fisso/mobile offerto da Vodafone alla sua clientela aziendale retail. Ciò è valso a confermare l‟esistenza dell‟abuso da discriminazione e della violazione dell‟obbligo di parità di trattamento interno/esterno (sia pure nei limiti di cui si dirà in seguito).
In merito alla condotta discriminatoria più volte descritta – consistente nell‟applicazione di condizioni economiche per la terminazione F-M delle chiamate su numerazioni mobili on net e intercom più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto ai corrispondenti prezzi di terminazione praticati ai propri concorrenti, anche attraverso l‟impiego di particolari soluzioni tecniche, in assenza di una corrispondente offerta wholesale per i propri concorrenti – vale ricordare il principio c.d. della pari opportunità, richiamato dall‟Agcm nel proprio provvedimento 17131 (punto 264), da tempo consolidato a livello di giurisprudenza comunitaria e nazionale, in virtù del quale un regime di libera concorrenza si fonda sulla circostanza che le imprese potenziali concorrenti possano agire a parità di condizioni, senza evidenti vantaggi acquisiti abusivamente (cfr. in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia, del 13 dicembre 1991, causa n. 18/88, RTT/SABAM; a livello nazionale, il provvedimento n. 1532, Sistema Telefonia Cellulare GSM, del 28 ottobre 1993, in Boll. n. 32/1993, il provvedimento n. 6698, Consorzio Risposta/Ente Poste Italiane, del 17 dicembre 1998, in Boll. n. 51/98, nonché il provv. 8065, Cesare Fremura Assologistica/Ferrovie dello Stato, del 24 febbraio 2000, in Boll. n. 8/2000).
Si deve altresì evidenziare come, in capo a Vodafone, in quanto monopolista (a monte), incomba comunque una speciale responsabilità. Come ricordato dalla Corte di Giustizia Europea nella più volte citata sentenza Telia Sonera: “secondo una giurisprudenza costante, è all’impresa che detiene una posizione dominante che incombe la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno”. In tal senso si sono espressi peraltro tanto il CTU già nella propria relazione del 23 novembre 2012 (p. 43), quanto l‟Agcm nel proprio provvedimento 17131 (punto 264).
In particolare, in virtù della speciale responsabilità che incombe sull‟impresa in posizione dominante - nel caso di specie, su Vodafone, dominante nel mercato della terminazione sulla propria rete - è fatto divieto alla medesima di discriminare a favore delle proprie divisioni commerciali nell‟offerta di servizi intermedi necessari ai propri concorrenti per competere nei servizi finali (Cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 1271/06 e il relativo provv. 13033 dell‟Agcm, Comportamenti abusivi di Telecom Italia, in Boll. 13/2004). Tale divieto è rafforzato dalla circostanza che Vodafone è operatore con notevole forza di mercato, quantomeno nel mercato della terminazione sulle rispettive reti. Infatti, nell‟ambito della normativa comunitaria del settore delle comunicazioni elettroniche, gli obblighi di trasparenza, non discriminazione e controllo dei prezzi, ivi compreso l‟orientamento ai costi, già sanciti in capo alle imprese che dispongono di un notevole potere di mercato dalla Direttiva 97/33/CE (Open Network Provisions), e recepiti internamente dal D.P.R. 318/97 (articolo 4, comma 7), sono stati poi ripresi dal nuovo quadro regolamentare comunitario per le comunicazioni elettroniche (Dir. 2002/21/CE e Direttive collegate), recepito in Italia dal decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche). In particolare, si evidenzia che la Direttiva n. 2002/19/CE del 7 marzo 2002 ribadisce che l‟obbligo di trasparenza dei termini e delle condizioni dell‟accesso e dell‟interconnessione (in cui rientra quella per la terminazione delle chiamate su rete mobile) è posto, tra l‟altro, al fine di garantire “…agli attori presenti sul mercato che il servizio non è fornito a condizioni discriminatorie…” (considerando 16). Inoltre, la medesima Direttiva specifica che “[i]l principio di non discriminazione garantisce che le imprese aventi potere di mercato non distorcano la concorrenza, soprattutto nei casi di imprese ad integrazione verticale che prestano servizi ai propri concorrenti nei mercati a valle…” (considerando 17).
A livello nazionale, l‟Agcom, a conclusione della procedura di valutazione del mercato n. 16 – mercato della terminazione di chiamate vocali su singole reti mobili – con delibera n. 3/06/CONS, ha ulteriormente sancito gli obblighi di trasparenza e non discriminazione in capo a Tim e Vodafone ed estendendoli poi a WIND e H3G, anch‟essi notificati come operatori in possesso di notevole forza di mercato nei mercati della terminazione sulle rispettive reti. Peraltro si è già ricordata la circostanza che tale obbligo di non discriminazione sia imposto indistintamente a tutti e quattro i gestori, a prescindere dalla quota detenuta da ciascuno di essi nel mercato a valle - che rileva solo ai fini dell‟imposizione di un tetto al prezzo di terminazione - proprio a sottolineare come il controllo di una risorsa disponibile solo ai gestori (la terminazione sulla propria rete mobile) e non anche agli operatori terzi, può potenzialmente avere un‟elevata valenza anti-competitiva con effetti sia sui concorrenti sia sui clienti finali.
Per tutti i motivi esposti, si ritiene che la condotta posta in essere da Vodafone nei mercati all‟ingrosso della terminazione delle chiamate sulle rispettive reti, consistenti nell‟applicazione di condizioni economiche e/o tecniche più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto a quelle praticate ai propri concorrenti, configuri abuso di posizione dominante. Si considerano quindi superate le difese riportate dalla convenuta sino alla propria memoria di replica secondo le quali non vi sarebbe prova dell‟abuso, poiché tutti i rilievi di cui sopra valgono a dimostrare il contrario.
    11. Questo Giudice, in sede di decisione definitiva ritiene di dover confermare alcune scelte fatte nel corso del procedimento ed in particolare nel corso della formulazione dei successivi quesiti sottoposti al CTU Prof. Scarpa. In particolare ritiene di ribadire quanto indicato nell‟ordinanza riservata del 16.4.13, alla luce dell‟ampio dibattito svoltosi con i legali ed i CT delle parti, anche a mezzo di apposite memorie a ciò espressamente dedicate.
In detta occasione si era già impostata l‟attività del CTU nel non limitarsi al calcolo dell‟overcharge dal momento che il presente caso appariva diverso rispetto al caso OKCom (sent. Dott. Micciché n. 2159 del 14.12.2013, OK Com c. Telecom), assunto come riferimento dalla difesa di BT Italia. In quella causa infatti l‟attrice aveva chiesto un danno emergente in relazione ai maggiori costi sostenuti per il servizio di terminazione (ed aveva quindi prospettato la tesi che nei propri profitti aveva assorbito il prezzo più elevato ad essa praticato da Telecom Italia); aveva infatti chiesto il lucro cessante, di fatto poi non accordatole per ritenuta mancanza di prova, avendo prospettato di non aver potuto far fronte alla domanda di terminazione dovuta alla pratica escludente di Telecom attraverso la risoluzione del contratto Multibusiness in corso con Telecom. Le voci di danno così richieste derivavano quindi direttamente ed esclusivamente dalla risoluzione del contratto Multibusiness. E‟ evidente che nel caso di specie non è stato prospettato nulla di simile.

Nel presente caso il calcolo dell‟overcharge è apparso di difficile se non impossibile determinazione, dal momento che la valutazione del sovrapprezzo avrebbe dovuto fare riferimento ad un parametro che è rimasto ignoto (il prezzo operato da Vodafone alle proprie divisioni commerciali interne).
Del resto ritiene questo giudice che l'overcharge - ove la domanda sia stata introdotta invocandosi un caso di margin squeeze - non è rilevante in sé, ma solo quale componente da prendere in considerazione nell‟ambito della verifica circa l‟esistenza e la quantificazione della riduzione dei margini di guadagno del danneggiato (appunto il margin squeeze).
È vero infatti che nel procedimento A357 condotto dall'Agcm non era stato imputato a Vodafone un comportamento di prezzo eccessivo di terminazione (essendo questo il prezzo regolato), bensì un trattamento discriminatorio interno/esterno, onde appare corretta l‟adozione del criterio del margin squeeze. È altrettanto vero che BT Italia ha fatto riferimento fin dal principio, nell‟atto di citazione (vedi anche le domande formulate in via alternativa nella parte conclusiva di detto atto) e costantemente nel corso dello svolgimento delle operazioni di consulenza a tale concetto.
Tale categoria di abuso è stata definita dalla Commissione europea come: “a disproportion between an upstream and a downstream price. Contrary to what Telefonica claims, there is no need to demonstrate that either the wholesale price is excessive in itself or that the retail price is predatory in itself” (Decisione della Commissione caso COMP/38.784 – Wanadoo Espana vs. Telefonica, 4 luglio 2007, par. 283). La recente sentenza della Corte di Giustizia dell‟Unione europea Telia Sonera (causa C-52/09, Konkurrensverket/TeliaSonera), più volte citata, ha poi identificato il margin squeeze come violazione distinta delle norme sulla concorrenza, non assimilabile al rifiuto a contrarre. Aggiunge altresì che “nell’ambito della valutazione dell’abusività di siffatta pratica, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze di ciascuna fattispecie”.
Come correttamente rilevato dal CTU nella propria relazione depositata in data 23.11.2012 (pag.
40) occorre pertanto dimostrare che il comportamento a monte dell‟impresa dominante sia tale da produrre effetti anticoncorrenziali nel mercato a valle. A tal riguardo, si ricordi che H3G – anch‟esso operatore di telefonia mobile – è stato escluso dal procedimento A357 in quanto assente dal mercato a valle (cfr. par. 258 del provvedimento finale dell‟Agcm).
Quale contropartita della scelta di escludere il criterio dell‟overcharge, si ritiene condivisibile la considerazione secondo la quale non rileva il fatto che BT abbia “ribaltato” il maggior costo sui proprio utenti finali (passing-on). D‟altra parte tale prospettazione non risulta supportata in causa da elementi di prova o da riscontri di alcun genere.
    12. Con riguardo ora alla quantificazione del danno subito da BT a causa della condotta di abuso di posizione dominante posta in essere da Vodafone, si deve in primo luogo considerare che per la valutazione del risarcimento conseguente all‟abuso di posizione dominante imputato a Vodafone non si possa che procedere ad una scelta di tipo discrezionale, posto che nella prospettazione del c.d. scenario controfattuale non è possibile pervenire a dati certi, ma ci si deve attenere a semplici ipotesi, sia pure supportate dai criteri della scienza econometrica.
Nella relazione depositata dal Prof. Scarpa in data 23 novembre 2011, dopo ampie e approfondite argomentazioni, si giunge a limitare l‟ambito temporale del danno subito da BT fino al mese di marzo del 2005 (pag. 53). Ciò sulla base del fatto che alcuni dei piani tariffari di Vodafone, oggetto di disamina, erano sì sottocosto al momento della loro introduzione e sono effettivamente rimasti sul mercato per diversi anni, ma sono stati poi ricondotti nell‟area delle offerte lecite, con la revisione delle offerte ed il calo delle tariffe di terminazione degli ultimi anni. Con il primo supplemento di quesito, questo giudice ha richiesto al CTU di concentrare la propria attenzione sull‟approccio c.d. bottom up (ovvero a partire dalle tariffe e non invece dalla contabilità di Vodafone) e di trattare due questioni ampiamente dibattute tra le parti, ossia la percentuale dei costi commerciali da considerare e le modalità con le quali il risultato possa variare considerando non solo lo sconto medio sulle tariffe, ma anche un valore intermedio tra quello medio e quello massimo (il c.d. sconto intervallare). Nella relazione supplementare, depositata in data 30 settembre 2013, il consulente evidenzia come dal 2002/2003 fino al 2004/2005 i prezzi praticati da Vodafone si trovino al di sotto dei costi, qualunque sia l‟ipotesi che si vuole considerare circa i costi commerciali e qualunque sia il parametro di prezzo (sconto) che si ritiene corretto utilizzare per valutare la politica di prezzo di Vodafone. Allo stesso modo, i prezzi di Vodafone risultano certamente leciti dal 2006/07 in poi, qualunque sia il criterio considerato tra quelli indicati dal quesito (si veda la tabella 4 a pag. 9 della relazione supplementare del CTU del 30.09.2013).
Questo giudice ritiene che sia del tutto condivisibile la prospettazione del consulente tecnico che
– anche in considerazione degli interessi economici in gioco – è stato chiamato per tre volte ad integrare la relazione, proprio al fine di avere un quadro quanto più completo e verificato della medesima prospettazione.
    13. Occorre in primo luogo procedere ad una specifica disamina della voce dei costi commerciali da valutare, in considerazione della rilevanza che essa assume, con riguardo alla affermazione di un asserito danno subito da BT.

A seconda del valore percentile attribuito ai costi commerciali con riferimento ai costi di rete, l‟ambito temporale del danno subito da BT arriva fino al mese di marzo 2005, ove i costi commerciali siano quantificati in un valore pari al 5%, o al mese di marzo 2006, ove invece detti costi siano considerati al valore del 20%.
Il CTU aveva ritenuto opportuno quantificare l‟impatto dei costi commerciali in un valore pari al 5% dei costi di rete di Vodafone, detto valore derivando dai bilanci di responsabilità sociale di Vodafone per gli anni dal 2002 al 2008. Nella prima relazione supplementare (depositata in data 30 settembre 2013), il CTU ha preso in considerazione un‟ulteriore quantificazione dei costi commerciali pari al 20% dei costi di rete. Tale valore trova fondamento nella delibera dell‟Agcom 499/10/CONS, ove l‟Autorità offre una misura presuntiva di detti costi, in proporzione ai costi di rete totali. Nello specifico, l‟Agcom distingue la parametrazione dei costi commerciali a seconda del mercato finale cui è destinata l‟offerta e, per quanto concerne la clientela di interesse, ossia quella business, identifica appunto i costi commerciali in una percentuale pari al 20% dei costi di rete. Occorre premettere che il ruolo assolutamente marginale ricoperto dalla telefonia fissa, all‟interno delle attività di Vodafone, induce ad una stima prudenziale dell'incidenza dei costi commerciali. Si è peraltro già ricordato che la quota di mercato di Vodafone, con particolare riferimento alla direttrice fisso-mobile, era pari a circa il 2%. Ciò induce ragionevolmente a ritenere che i costi commerciali sostenuti in funzione di tale direttrice avessero un impatto estremamente limitato e pressoché trascurabile sui costi complessivamente sostenuti da Vodafone. D‟altra parte, la delibera 499/10/CONS costituisce un adeguamento dei test di prezzo utilizzati nella precedente delibera 152/10/CONS, la quale conteneva misure atte a garantire la piena applicazione del principio di parità di trattamento interna ed esterna da parte degli operatori “aventi notevole forza di mercato nella telefonia fissa”. Si ritiene pertanto che i parametri definiti nella delibera 499/10/CONS non possano trovare diretta e immediata applicazione con riferimento al caso de quo, considerata la richiamata posizione di Vodafone sul mercato oggetto di analisi. Tale delibera è stata peraltro approvata facendo precipuo riferimento ad uno dei principali operatori sul mercato della fonia fissa, ossia Telecom Italia. Inoltre, l‟Agcom, nella propria delibera, concede esplicitamente all‟operatore che sia assoggettato al test la facoltà di richiedere l‟utilizzo dei costi effettivamente sostenuti. Si consideri inoltre che i costi commerciali di telefonia non possono considerarsi quale voce in sé autonoma in quanto rientrano nei costi sostenuti per l‟offerta di fonia complessivamente intesa. In particolare, i costi commerciali sulla direttrice fisso-mobile sono parte dei cosiddetti costi non evitabili, in quanto non specifici alla direttrice stessa. Peraltro le offerte praticate sul mercato da Vodafone erano offerte complesse, delle quali la terminazione fisso-mobile non era altro che una delle componenti. In altre parole Vodafone offriva ai clienti dei “pacchetti” che non riguardavano mai unicamente il mercato della fonia fisso-mobile. A ciò si aggiunga il significativo rilievo che la stessa Agcm, nel corso del procedimento A357, ha preso in considerazione unicamente i costi di raccolta e di terminazione, e non anche i costi commerciali, per il calcolo del test di replicabilità.
Tutto quanto sopra premesso, in considerazione della peculiarità della posizione ricoperta da Vodafone sul mercato della fonia fisso-mobile, si ritiene corretto - nel caso di cui si discute – quantificare i costi commerciali in un valore pari al 5% dei costi di rete.
È del resto significativo che il comportamento illecito alla base dell‟azione di BT non sia stato rilevato dall‟Agcm per l‟anno 2006, considerato che il procedimento A357 riguardava il periodo precedente, e che l'Agcm non ha ritenuto di dare ingresso ad un‟altra istruttoria in relazione a possibili ulteriori comportamenti discriminatori protrattisi in epoca più recente. A tali considerazioni si aggiunga la circostanza, non contestata, che l‟Agcm non ha mai mosso contestazioni nei confronti di Vodafone, dopo la chiusura del procedimento. Si ricorda infatti che, ai sensi dell‟articolo 14-ter della legge 287/90, l‟Autorità, ove un‟impresa contravvenga agli impegni assunti e resi obbligatori, può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10
% del fatturato o riaprire il procedimento nei suoi confronti,circostanze queste non realizzatesi nella specie.
    14. Con riguardo al rapporto dei costi stimati ai prezzi, nel corso della prima relazione supplementare, è stato chiesto al CTU di voler considerare non solo lo sconto medio ma anche un valore intermedio tra tale sconto e lo sconto massimo (il c.d. sconto intervallare). Nella relazione supplementare, depositata in data 30.9.2013, il consulente evidenzia come dal 2000/2001 fino al 2004/2005 i prezzi praticati da Vodafone si trovino al di sotto dei costi, qualunque sia l‟ipotesi che si vuole considerare circa i costi commerciali e qualunque sia il parametro di prezzo (sconto) che si ritiene corretto utilizzare per valutare la politica di prezzo di Vodafone. Egli conclude dunque confermando l‟analisi effettuata con riguardo al valore dei costi commerciali e cioè che fino al 2004/05 i prezzi praticati da Vodafone sono al di sotto dei costi, non solo qualunque sia l‟ipotesi che si vuole considerare circa i costi commerciali, ma anche qualunque sia il parametro di prezzo (sconto) che si ritiene corretto utilizzare per valutare la politica di prezzo di Vodafone. Mentre i prezzi di Vodafone sono da ritenersi certamente leciti dal 2006/07 in poi, qualunque sia il criterio adottato tra tutti quelli considerati in corso di causa (si veda pag. 10 della prima relazione supplementare del CTU). Ancora dunque assume rilievo primario, ai fini della commisurazione dell‟eventuale danno, la ricostruzione della voce dei costi commerciali: ove siano stimati al 5% dei costi di rete il comportamento di Vodafone sarebbe sicuramente lecito già a partire dall‟anno 2005/2006, mentre l‟opposto è vero nel caso in cui i costi commerciali siano valutati al 20% del costo di rete (con un margine negativo di circa 1-3% del costo). Si ritiene in ogni caso corretta l‟adozione delle sconto intervallare – e, cioè, di ammontare pari ad uno livello intermedio fra lo sconto medio e quello massimo - considerando come più realistica l‟ipotesi di sconti elevati alla clientela business.
    15. Fatte tali premesse, tenuto conto in particolare delle risultanze di cui alla relazione finale di CTU ed alla prima relazione supplementare, questo giudice ritiene di adottare quale base di partenza per la quantificazione del danno subito da BT un valore commisurato rispetto a costi commerciali al 5% ed allo sconto intervallare.
    16. Il secondo supplemento di incarico chiedeva poi al consulente di voler quantificare i costi di terminazione e di voler identificare il traffico originato dai clienti business di rete fissa di BT e terminato su rete mobile Vodafone, ma effettuato attraverso reseller. Ciò per scorporare il traffico direttamente fatturato da BT a Vodafone da quello che Vodafone ha fatturato ad altri operatori, pur essendo eventualmente originato da clienti BT.

    17. Il supplemento di relazione da ultimo disposto (che è scaturito nella terza relazione supplementare depositata in data 20 settembre 2014) è stato invece provocato dal deposito di materiale documentale pervenuto a Vodafone in forma anonima e dalla difesa della convenuta offerto in produzione all‟udienza del 4 aprile 2014.
Si è a lungo discusso circa l‟ammissibilità di tale materiale sia perché tardivamente introdotto nel processo, sia perché pervenuto con il mezzo della missiva anonima (così almeno è stato detto da Vodafone) e – secondo la tesi di parte attrice – trafugato presso la stessa.
Questo giudice ha ritenuto di non poter del tutto ignorare le emergenze derivate da tale materiale, in quanto direttamente incidenti sulla quantificazione del danno ed intervenute quando si era ancora nella fase degli accertamenti inerenti la predetta quantificazione; inoltre, la loro tardiva produzione nel giudizio è dipendente dalla circostanza che, sempre secondo la versione di Vodafone, quest‟ultima ne avrebbe avuto contezza solo nelle ultime battute processuali. Del resto, tale scelta è stata determinata dal convincimento che fosse opportuno completare il quadro degli accertamenti nell‟ambito del giudizio di primo grado, quando l‟attività del CTU era stata appena ultimata, piuttosto che riservarla ad un eventuale giudizio di secondo grado, nel quale gli accertamenti avrebbero potuto essere riaperti.
Quanto alla provenienza di tale documentazione, ai fini civilistici, non sembra che la fonte anonima ed eventualmente illecita dell‟acquisizione del predetto materiale presso BT sia risolutiva nel determinare l‟esclusione assoluta di tale materiale a qualsiasi fine. E‟ vero infatti che il principio della lealtà processuale avrebbe dovuto indurre BT a rappresentare il dato emerso da tale documentazione nel corso delle operazioni di CTU, così da fornire un quadro reale del pregiudizio effettivamente subito a causa del comportamento abusivo di Vodafone.
L‟atteggiamento assunto da BT a proposito delle emergenze di detta documentazione è stato quello di affermare di non aver reperito riferimenti a pretesi accordi con Telecom risalenti al 2002 e di non essere stata in grado di ricostruire le dinamiche del traffico così risalenti nel tempo. La replica di Vodafone sul punto ha evidenziato che la prova dell‟effetto del pregiudizio derivato dall‟abuso imputato a Vodafone e del fatto che tale effetto sia stato subito da BT (e non da terzi) rappresentano altrettanti fatti costitutivi della domanda, cosicché la loro prova avrebbe dovuto fare carico a BT.
La documentazione da ultimo depositata ha insinuato il dubbio che il danno non sia stato subito da BT nella sua totalità, secondo i rilievi delle precedenti relazioni del CTU, ma che una parte del traffico computato dalle predette relazioni sia unicamente transitato nelle reti di BT, non essendo da questa originato.
Non ignora questo giudice che la giurisprudenza penalistica vieta qualsiasi utilizzo delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge (Cass. Pen. S.U. 9.4.2010 n. 13426); è tuttavia vero che tale inutilazzibilità è stata individuata sempre nell‟ambito di procedimenti penali (nel caso specifico il procedimento per l‟adozione delle misure di prevenzione).
Il caso di specie, fino a prova contraria, non vede Vodafone quale artefice della sottrazione del materiale di cui al plico depositato all‟udienza del 4 aprile 2014, né può imputarsi a Vodafone l‟intromissione nella corrispondenza riservata di BT.
Si può del resto fare riferimento al principio vitiatur sed non vitiat, per cui la sanzione processuale di inutilizzabilità di una prova rimane circoscritta alle prove illegittimamente acquisite senza incidere in alcun modo sulle altre risultanze probatorie, pur se collegate a quelle inutilizzabili (Cass. I sez. pen., 30.1.2007 n. 21923, imp. Cirillo; Cass. I sez. pen., 6.3.2008 n.12685).
Del resto la giurisprudenza civile si è espressa nel senso favorevole al recepimento di prove documentali nel processo civile ancorché ne sia contestata la loro inutilizzabilità per l‟illegittimità della loro fonte di provenienza. Tale categoria infatti si è detto appartenere al rito penale ed essere ignota al processo civile (Cass. II sez. civ., 25.3.2013 n. 7466).

Comunque, nel caso in esame, il materiale depositato dalla difesa Vodafone ha costituito solo l‟occasione per disporre un ulteriore supplemento delle indagini demandate al CTU, come già in precedenza altri supplementi di indagine erano stati disposti su richiesta di BT.
Questo giudice ha sì invitato il CTU ad esaminare la documentazione di cui al plico depositato in udienza dalla difesa di Vodafone al fine di verificare la sussistenza di elementi che rendessero verosimile l‟ipotesi prospettata dalla convenuta (a nulla rilevando che tale ipotesi avesse trovato fondamento a partire dalla denuncia anonima fatta propria dalla convenuta medesima).
    18. L‟esito della disamina affidata al CTU è stato riassunto nella nota depositata dal Prof. Scarpa all‟udienza del 29 aprile „14 . Con detta nota il CTU ha fra l‟altro riferito che dall‟analisi della documentazione in parola emergerebbe che era prassi già nel 2005 di avere scambi di traffico tra operatori, così che traffico di altra origine poteva venire “reinstradato” su rete BT, non per necessità tecnica o in ragione della capillarità della rete stessa, ma per una convenienza economica. A detta del Prof. Scarpa appariva “abbastanza evidente che sulla rete di BT potesse transitare un traffico non proporzionato alla clientela BT ma legato a questi accordi (la cui natura non è nota, ma che comunque sembrano rilevare rispetto alle decisioni di instradamento del traffico)”. Secondo il CTU veniva quindi posto in dubbio quali costi fossero effettivamente stati sostenuti da BT all‟interno di questo complesso scambio di traffico e quale parte del traffico transitato direttamente da rete fissa BT a rete mobile Vodafone originasse effettivamente da clienti business di BT.
Alla luce dei rilievi esposti dal CTU in tale nota, questo giudice ha quindi ritenuto di affidare al medesimo un ulteriore accertamento conclusivo, invitando il Consulente a rispondere ai seguenti quesiti:

“accerti – sulla base dei valori di cui alla tabella agli atti sub doc. 9 di BT Italia – quale sia il traffico pertinente per i fatti di causa, ovvero effettivamente originato da clientela BT aziendale di rete fissa e terminato su rete mobile Vodafone;
    • accerti quali prezzi BT abbia pagato per il traffico terminato su rete mobile Vodafone, distinguendo tra il traffico direttamente terminato su rete mobile Vodafone e quello transitato invece attraverso operatori terzi;
    • nell'ipotesi in cui questa verifica modifichi il traffico da considerare ai fini della causa in corso, proceda ad un nuovo calcolo dei danni patiti da BT utilizzando i nuovi dati - ferma restando la metodologia adottata in precedenza dal CTU - nelle diverse ipotesi considerate.
    • stimi altresì il danno subito da BT Italia per il periodo giugno 1999 - marzo 2000 eventualmente tramite proiezione all'indietro dei prezzi rilevati nel periodo successivo”.
I risultati di tali ultimi accertamenti demandati al CTU saranno di seguito esaminati.
    19. Il CTU nell‟ultimo supplemento depositato il 20.9.14 ha rilevato che il c.d. „traffico di transito‟ sia traffico ingenerato da clienti di BT, essendo però detti clienti di natura wholesale e non retail, e quindi non soggetti ad un contratto rientrante tra quelli cui si riferisce il procedimento A357 riguardanti proprio la clientela retail. Ha così valutato  che i minuti di traffico di transito non debbano essere computati ai fini della commisurazione del danno di BT. Ritiene questo giudice che si debba affermare che il c.d. „traffico di transito‟, ossia quel traffico derivante dall‟utilizzo delle reti BT da parte degli altri operatori di telefonia come reti di transito, integri una situazione in cui il pregiudizio lamentato da BT nel presente giudizio non sia stato in realtà subito da parte attrice. In relazione a tali quantità di traffico invece BT si sarebbe limitata a garantire il trasferimento del traffico originato da altri operatori verso le reti Vodafone, così da indurre a ritenere che l‟eventuale pregiudizio conseguente al comportamento discriminatorio imputato a Vodafone sia semmai stato subito da detti operatori. Il meccanismo del transito, al contrario, avrebbe ingenerato per BT un‟occasione di guadagno o quantomeno di compensazione a favore della stessa rispetto ad altri interessi. In considerazione di tale rilievi si deve aver presente la tabella 8 della terza relazione supplementare di CTU (pag. 13), dalla quale risulta una percentuale di „traffico di transito‟ sul traffico totale per gli anni fiscali dal 2011 al 2006 pari in media al 28,2%. Considerato che l‟annualità del 2006 è stata ritenuta estranea all‟addebito imputato a Vodafone e che in tale anno si è invece registrato un picco nel c.d. „traffico di transito‟ (41,3 %), si deve ridurre tale percentuale al 16,5%. Pertanto, tale percentuale di minuti deve essere scomputata dal traffico complessivamente veicolato da BT a Vodafone nel periodo di riferimento (ossia sino al mese di marzo 2005) ai fini della commisurazione del danno subito da BT a causa della condotta discriminatoria perpetrata da Vodafone.
    20. Con riguardo al traffico imputabile a BT Group e non invece alla parte attrice, il Consulente evidenzia una carenza nella documentazione fornita da BT Italia e offre nella tabella 9 della terza relazione supplementare (pag. 15) un conteggio del traffico totale con e senza traffico di titolarità di BT Group.
Questo giudice ritiene sia da escludersi dal computo del danno subito da BT il traffico imputabile a BT Group (pag. 14 terza relazione supplementare di CTU, depositata il 20 settembre 2014). In primo luogo, poiché tra i clienti di BT Group vi era proprio BT Italia e, come ricordato dal CTU (pag. 14 terza relazione supplementare), non è stato possibile visionare alcun contratto globale né scegliere quali contratti locali visionare. In ciò il diniego di BT di aver accesso ad altri contratti, diversi da quelli dalla medesima selezionati, deve essere tenuto in considerazione.
Inoltre si può supporre uno stretto legame infragruppo tra BT Group e la locale BT Italia. Di conseguenza il loro rapporto si presume non essere vincolato alle logiche di mercato e non può dirsi influenzato dal dedotto comportamento abusivo di Vodafone.
Devono quindi essere esclusi, ai fini della quantificazione del danno subito da BT, quei minuti che siano originati dalla società madre BT Group e non invece dalla odierna attrice BT Italia.
    21. L‟ultimo quesito oggetto della terza relazione supplementare concerne la quantificazione del danno che BT avrebbe subito nella parte dell‟anno fiscale 1999/2000 oggetto delle domande attoree, ossia dal giugno 1999. È lo stesso Consulente ad evidenziare la difficoltà nel determinare tale valore poiché non vi sono evidenze circa i minuti di traffico di provenienza di BT terminati su rete Vodafone né sul fatto che in quel periodo Vodafone avesse offerte rivolte alla clientela business di rete fissa (pag. 43 terza relazione supplementare di CTU). Ciò detto, in considerazione dell‟andamento del traffico negli anni successivi e della risalenza dell‟accordo di interconnessione tra BT e Vodafone al 7 gennaio 1999 (sottoscritto fra le allora Omnitel e
Albacom), si ritiene congruo ipotizzare la sussistenza di un danno subito da BT anche nel periodo giugno 1999-2000.
A tal riguardo è condivisibile il ragionamento seguito dal Consulente che si fonda sull‟assunto che il traffico generato da BT e terminato su rete Vodafone sia cresciuto nel periodo dal 1999- 2000 all‟anno fiscale 2001, allo stesso tasso al quale è cresciuto nei tre anni successivi. Il CTU ha dunque commisurato tale crescita media del traffico negli anni fiscali dal 2001 al 2004 nel valore percentile del 34,2% e – tenuto conto del dato relativo all‟anno fiscale 2001 in termini di minutaggio pari a 105 milioni di minuti nonché la durata del periodo giugno 1999-marzo 2010 (di 10 e non di 12 mesi) – ha identificato un valore pari a circa 65,2 milioni di minuti (vedi pagg. 43-44 terza relazione supplementare di CTU).
Il Consulente commisura poi il margine unitario ed il margine complessivo perso da BT sul periodo di cui si discute, ossia dal giugno 1999 al marzo 2000, arrivando ad una valorizzazione del danno subito per tale parentesi temporale tra 2,2 e 2,6 milioni di euro.
Dunque, nel calcolo del danno subito da BT deve aggiungersi un‟ulteriore voce pari a circa 65,2 milioni di minuti che trova fondamento nel traffico di BT terminato nelle reti Vodafone nel periodo da giugno 1999 a marzo 2000 e che si può ricondurre ad una quantificazione pari a 2,5 milioni di euro, alla luce della tabella di cui alla pagina 48 della terza relazione supplementare di CTU.
    22. Tutto quanto sopra premesso, si ritiene che debba riconoscersi a BT un danno da commisurarsi tenendo in considerazione costi commerciali al 5% e sconto intervallare, escludendo il traffico di transito (commisurato come ricordato nel 16,5% del totale) nonché il traffico imputabile a BT Group e limitando il periodo da considerare dal giugno 1999 al marzo 2005. Si ritiene poi che sia preferibile tenere in considerazione i dati di cui alla terza relazione supplementare di CTU, poiché hanno il riscontro del data warehouse messo a disposizione dall‟attrice BT. Ciò detto, il danno subito da BT ivi commisurato in via equitativa, tenendo in particolare conto delle tabelle riepilogative di cui a pagg. 13, 47 e 48 della terza relazione supplementare di CTU, è pari a 12 milioni euro, tale cifra tenendo adeguatamente conto dell‟attualizzazione in valori 2015 sulla base dei tassi forniti dalla Banca d‟Italia. Detta cifra è da considerarsi liquidata in via equitativa, in moneta attuale e comprensiva degli interessi maturati ad oggi. Saranno dovuti gli ulteriori interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia al saldo.

    23. Le conclusioni definitive circa le domande svolte dalle parti e l‟accoglimento della domanda attorea in termini quantitativi significativamente inferiori alla richiesta inducono a liquidare le spese in favore di parte attrice, commisurandole in relazione alla minor somma attribuita. Tali spese sono liquidate, in base al DM. N. 55/2014, operando un aumento di successive percentuali del 30% a norma dell‟art. 6 fino alla concorrenza del valore della somma liquidata, e così in totale €. 95.000. Si ritiene poi di operare un aumento del 50% in relazione alla particolare complessità ed importanza dell‟opera prestata (ex art. 4 , comma I). Conseguentemente il compenso è liquidato in favore di parte attrice nella somma di €. 142.500, oltre spese generali ed accessori nella misura di legge.
Il complesso dibattito svoltosi nel corso della CTU e il parziale accoglimento delle tesi di parte attrice, rispetto alle ben maggiori domande formulate, inducono a porre a carico di parte attrice un terzo delle spese di CTU ed i rimanenti due terzi a carico della convenuta, nella misura già liquidata in corso di causa.


 

P.Q.M.

 

il Giudice, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio fra le parti,
accerta che i comportamenti posti in essere da Vodafone Omnitel n.v., ora Vodafone Omnitel b.v., descritti negli atti di causa concretano abuso di posizione dominante, ai sensi dell‟art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell‟Unione Europea, in danno di BT Italia S.p.A. e, per l‟effetto, condanna Vodafone Omnitel b.v. al risarcimento dei danni cagionati a BT Italia S.p.A., in conseguenza della condotta illecita e anticoncorrenziale sopra evidenziata, liquidando detti danni nella somma di €. 12.000.000,00, in moneta attuale e comprensiva degli interessi maturati ad oggi, con gli ulteriori interessi al tasso legale, dalla presente pronuncia al saldo;
condanna Vodafone Omnitel b.v. al pagamento in favore di BT Italia S.p.A. delle spese processuali, liquidate nell'ammontare di €. 142.500 a titolo di compenso, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed agli accessori nella misura di legge;
pone a carico di BT Italia S.p.A. un terzo delle spese di CTU, nella misura già liquidata in corso di causa, e pone i residui due terzi a carico di Vodafone Omnitel b.v..
Così deciso in Milano il 24 luglio 2015.

Il Giudice
dott. Marina Anna Tavassi