ORTE D’APPELLO DI MILANO SEZIONE PRIMA CIVILE
Sentenza n. 188/2020 del 21/01/2020

Sentenza n. 188/2020 del 21/01/2020
RG n. 4525/2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI MILANO
SEZIONE PRIMA CIVILE

composta dai Signori:

Dott. Carla Romana Raineri - Presidente

Dott. Maria Iole Fontanella - Consigliere

Dott. Maria Elena Catalano - Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nella causa civile promossa in grado d'appello con citazione notificata telematicamente il 12.11.18 e decisa nella camera di consiglio del 07.11.19

TRA

 

IVECO S.P.A. (C.F. 09709770011), con il patrocinio dell’avv. RAFFAELLI ENRICO ADRIANO e dell’avv. TETI ELISABETTA (TTELBT72M65F205V) Via Monte Napoleone, 18 20121 MILANO; RAFFAELLI ALESSANDRO ALBERICO (RFFLSN77S23C933K) Via Monte Napoleone, 18 20121

MILANO; elettivamente domiciliata in VIA MONTE NAPOLEONE, 18 20121 MILANO presso il difensore avv. RAFFAELLI ENRICO ADRIANO

 

Appellante

E

 

CAVE MARMI VALLESTRONA S.R.L. (C.F. 00412780033), con il patrocinio dell’avv. FERRARIO

PIETRO elettivamente domiciliata in VIA RISORGIMENTO, 2 21018 SESTO CALENDE presso il difensore avv. FERRARIO PIETRO

 

Appellato

 

Oggetto: Antitrust

 

CONCLUSIONI DELLE PARTI

 

Per IVECO S.P.A.:

“In riforma della sentenza, pubblicata in data 4 ottobre 2018 dal Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa “A”, n. 9759/2018 ad esito della causa civile iscritta sub R.G. 9266/2018, per i motivi indicati in narrativa:

In via preliminare di merito

dichiarare per le ragioni esposte in narrativa l’estinzione per avvenuta prescrizione dei diritti azionati da Cave Marmi Vallestrona S.r.l. e, per l’effetto, rigettare tutte le domande formulate nei confronti di Iveco S.p.A.;

In via principale

risolvere per i motivi indicati in narrativa la questione pregiudiziale di merito avente ad oggetto l’applicabilità o meno dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10 bis del Regolamento CE 773/2004, così come modificato dal Regolamento CE 622/2008, nel senso della non applicabilità di tale previsione, assumendo occorrendo ogni consequenziale ed opportuno provvedimento ai fini della prosecuzione del giudizio di prime cure;

In subordine

per il caso di ritenuta non chiarezza in punto di applicabilità o meno dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10 bis del Regolamento CE n. 773/2004, così come modificato dal Regolamento CE n. 622/2008, sospendere per i motivi indicati in narrativa il procedimento de quo ai fini dell’invocato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE;

In ulteriore subordine

per il caso di ritenuta applicabilità, eventualmente all’esito della pronuncia della Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10 bis del Regolamento CE n. 773/2004, così come modificato dal Regolamento CE n. 622/2008, sospendere per i motivi indicati in narrativa il procedimento de quo ai fini dell’invocato incidente di costituzionalità alla Corte Costituzionale;

In ogni caso

con vittoria di spese, diritti e onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio, oltre IVA e CPA.”.

 

Per CAVE MARMI VALLESTRONA S.R.L.:

“Nel merito: previa ogni opportuna declaratoria, rigettare tutte le domande ex adverso proposte, perché infondate in fatto ed in diritto, con integrale conferma della sentenza di primo grado n. 9759/2018, pronunciata in data 19 luglio 2018 dal Tribunale di Milano, in composizione collegiale, nell’ambito del procedimento rubricato al n. R.G. 9266/2018;

Con vittoria di spese, diritti e onorari di entrambi i gradi del giudizio, oltre Iva e Cpa”.

 

 

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

 

1. Con sentenza parziale depositata in cancelleria il giorno 4.10.2018 (n. 9759/2018), il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia d’impresa, pronunciando nella causa R.G. n. 9266/2018, promossa da CAVE MARMI VALLESTRONA s.r.l. contro IVECO s.p.a., ha così deciso:

“rigetta l’eccezione di prescrizione proposta dalla convenuta. Dispone la rimessione della causa sul ruolo, come da separata ordinanza.”.

2. Lo svolgimento del procedimento di primo grado è stato così sintetizzato dal Tribunale.

2.1. Con atto notificato il 2 febbraio 2018, la società attrice CAVE MARMI VALLESTRONA SRL ha citato in giudizio IVECO SPA, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della violazione della normativa antitrust, deducendo che:

 - CAVE MARMI, società esercente attività di acquisto, concessione ed esercizio di cave di granito e marmo, aveva acquistato in data 14.10.2008 da Iveco spa il veicolo Iveco Magirus As 440/ST/EA, corrispondendo la somma di euro 120.000,00 comprensiva di iva.

 - La Commissione Europea, dopo aver svolto un’inchiesta su possibili accordi collusivi aventi ad oggetto i prezzi di autocarri, aveva adottato la decisione in data 19.07.2016, accertando la violazione della normativa antitrust e irrogando pesanti sanzioni alle imprese costruttrici MAN, Volvo/Renault, Daimler, IVECO e DAF, per avere compiuto accordi collusivi in materia di prezzi degli autocarri dal 1997 al 2011. In particolare, aveva applicato ad IVECO, la quale aveva ammesso la partecipazione al cartello dal 26 giugno 2001 al 18 gennaio 2011, una sanzione pari alla somma di 494.606.000,00 euro, tenuto conto della riduzione del 10% della sanzione per la collaborazione con la Commissione.

2.2. Con comparsa depositata il 27.04.2018, la convenuta IVECO si costituiva, eccependo la prescrizione del diritto risarcitorio azionato e, nel merito, chiedendo il rigetto delle domande attoree. In particolare, deduceva che:

la decisione del 19.07.2016 era stata adottata all’esito di una procedura di settlement, disciplinata dall’art. 10 bis del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli artt. 81 e 82 del Trattato CE;

non applicandosi retroattivamente le nuove norme contenute nella Direttiva 2014/104/UE e nel d.lgs. n. 3/2017 sulla prescrizione, il diritto risarcitorio di CAVE MARMI era prescritto, in quanto nel settembre 2010 l’Autorità garante della concorrenza del Regno Unito, l’Office of Fair Trading, aveva avviato un procedimento in merito ad una presunta condotta anticoncorrenziale delle imprese costruttrici di cui era stata data notizia su diversi siti internet; inoltre era prescritto anche in conseguenza dell’avvio del procedimento da parte della Commissione nel mese di gennaio 2011, la cui notizia era stata diffusa a mezzo stampa;

le decisioni adottate dalla Commissione Europea all’esito di una procedura di settlement non erano vincolanti per il giudice del risarcimento, pena la violazione dei diritti di difesa tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali, in particolare gli artt. 47 e 48 par. 2.

2.3 Il Tribunale, ritenuto opportuno valutare preliminarmente la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata da IVECO, nonché la questione dell’efficacia delle decisioni della Commissione, trattandosi di questioni preliminare di merito da cui dipende la determinazione dell’ambito dell’istruttoria, fatte precisare le conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione.

2.4. La sentenza del Tribunale di Milano, che ha deciso nei termini di cui sopra, si è basata sui seguenti presupposti:

- l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione, non avendo parte convenuta IVECO provato che, alle date del settembre 2010 ovvero del gennaio 2011, dalla stessa indicate, l’attrice CAVE MARMI avesse avuto “adeguata e completa conoscenza della specifica violazione antitrust, della sua imputabilità al soggetto convenuto e del danno eziologicamente riferibile alla violazione antitrust” (pag. 8 della sentenza impugnata);

- che alle decisioni della Commissione adottate a seguito di richiesta di transazione avanzata in conformità all’art. 10-bis, paragrafo 2, del Reg. CE n. 773/2004, sia applicabile il disposto dell’art. 16 Reg. CE 1/2003 e che le stesse siano pertanto vincolanti per il giudice davanti al quale sia esercitata l’azione civile di risarcimento del danno, sia pur limitatamente alla sussistenza della violazione antitrust accertata, mentre l’accertamento del nesso di causalità e l’esistenza del danno in capo al singolo rimane riservato alla valutazione del giudice medesimo.

3. La sentenza del Tribunale di Milano è stata impugnata da IVECO s.p.a. con atto di citazione notificato a mezzo pec in data 12.11.2018, con il quale chiede la riforma della medesima sentenza.

3.1. In particolare, IVECO ha proposto appello sulla base dei seguenti motivi:

(i) erronea individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c. (pag. 12-18 dell’atto di appello);

(ii) erronea “interpretazione della normativa comunitaria in materia di settlement” (pag. 19-30 dell’atto di appello)

(iii) “inapplicabilità dell’art. 16 del regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni di settlement” (pag. 30-41 dell’atto di appello).

L’appellante lamenta altresì che l’erronea interpretazione dell’art. 16 Reg. CE n. 1/2003 del Giudice di prime cure avrebbe portato ad un infondato rigetto della richiesta di esperire rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Chiede, pertanto, a questa Corte di sottoporre alla Corte di giustizia UE la risoluzione della questione dell’applicabilità o meno dell’art. 16 Reg. CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10-bis del Reg. CE n. 773/2004, così come modificato dal Reg. CE n. 622/2008. In subordine, chiede sia sollevata da questa Corte questione di legittimità costituzionale ex art. 134 Cost., al fine di verificare la compatibilità dell’interpretazione della normativa comunitaria sopracitata con i principi fondamentali del giusto processo di cui agli artt. 24, comma 2, e 111 Cost. (nonché all’art. 6 CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), chiedendo, in caso di accertato contrasto, l’attivazione dei “controlimiti”, arginando così i confini della penetrazione di dette norme europee nell’ordinamento nazionale.

3.3 CAVE MARMI VALLESTRONA s.r.l. si è costituita con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 19.3.2019, insistendo per il rigetto dell’appello.

3.4 La causa è stata decisa nella camera di consiglio del 07.11.19.

 

MOTIVI

 

4. I punti sui quali la Corte è chiamata a pronunciarsi sono i seguenti:

A) PRESCRIZIONE

B) INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI SETTLEMENT con particolare riferimento al DIRITTO DI DIFESA NEL PROCEDIMENTO DI SETTLEMENT

C) APPLICABILITÀ DELL’ART. 16 REG. CE N. 1/2003 CON RIFERIMENTO ALLE DECISIONI DI SETTLEMENT

 

I. PRESCRIZIONE

5. Il Giudice di prime cure ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta IVECO, odierna appellante, ritenendo che nessuno degli articoli di stampa e dei documenti prodotti dalla stessa fornisse prova di “una dettagliata, attendibile e specifica informazione di violazioni antitrust poste in essere dal convenuto dalle quali sia derivato un danno per l’attore” (pag. 9 della sentenza impugnata).

5.1 Con il primo motivo di appello, IVECO deduce che nelle ipotesi in cui il soggetto danneggiato non sia un consumatore, il dies a quo in questione vada individuato alla data di apertura dell’indagine da parte dell’Autorità antitrust, atteso il più alto grado di diligenza che è lecito attendersi da un professionista. Lamenta, pertanto, l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto la documentazione prodotta (relativa alla diffusione della notizia dell’apertura delle indagini da parte dell’Autorità garante della concorrenza del Regno Unito, nel settembre 2010, e della Commissione europea, nel gennaio 2011) inidonea a provare la circostanza che l’attore, odierno appellato, avesse avuto adeguata e completa conoscenza dell’evento dannoso perlomeno a partire dal settembre 2010, ovvero, comunque, dal gennaio 2011.

5.2 CAVE MARMI eccepisce l’infondatezza degli assunti avversari deducendo che non possono considerarsi idonee a far decorrere il termine di prescrizione in parola le notizie pubblicate sui quotidiani, prodotte da IVECO, in quanto le stesse fornivano solo generiche informazioni e non la certezza della violazione e del conseguente danno, tanto più alla luce della circostanza che il settore di commercio in cui opera CAVE MARMI (l’esercizio di cave di granito e marmo e lavorazione dei materiali estratti) è estremamente diverso da quello di IVECO.

6. Alla Corte è richiesto di individuare il dies a quo del termine prescrizionale di 5 anni di cui all’articolo 2947 c.c..

A tal fine, occorre procedere a una sommaria ricostruzione dei fatti di causa.

  • Cave Marmi Vallestrona s.r.l. ha effettuato l’acquisto dell’automezzo IVECO in data 14.10.08.
  • La Commissione Europea ha avviato il procedimento volto all’accertamento di una presunta attività anticoncorrenziale attuata dai costruttori MAN, VOLVO/RENAULT, DAIMLER, IVECO e DAF nel gennaio 2011, procedimento che si è concluso in data 19.07.16, con una decisione che ha accertato l’esistenza di accordi collusivi in materia di prezzi degli autocarri posti in essere dalle sopracitate imprese costruttrici.
  • In particolare, la Commissione Europea ha statuito che IVECO Magirus AG avesse direttamente partecipato a tale accordo fraudolento dal 26.06.01 al 18.01.11 ed ha, perciò, comminato una sanzione pari alla somma di euro 494.606.000,00, tenuto conto della riduzione del 10% della sanzione per la collaborazione con la Commissione.

Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, di cui all’art. 2947 c.c., si prescrive in cinque anni dal giorno in cui l’illecito si è verificato. Tale norma va interpretata in combinato disposto alla disposizione generale in tema di prescrizione, contenuta nell’articolo 2935 c.c., la quale stabilisce che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Dunque, il testo dell’art. 2947 c.c. deve essere letto ed interpretato compatibilmente al criterio di fondo che informa la disciplina codicistica della prescrizione, secondo il quale l’inerzia del titolare del diritto acquista significato solo di fronte alla possibilità di esercizio del diritto stesso, quando, cioè, l’atto di esercizio vale a soddisfare l’interesse tutelato.

Al contrario, non si può parlare di inerzia quando l’esercizio del diritto non è giuridicamente possibile, poiché, in questo caso, non si è neppure in presenza di un interesse insoddisfatto. L’istituto della prescrizione è, difatti, volto a reagire all’inerzia dei titolari di un diritto per adeguare una situazione di fatto a quella di diritto.

Ciò premesso, è necessario individuare quando, nel caso di specie, il diritto potesse essere fatto valere.

Nella fattispecie, infatti, il momento della causazione del danno ad opera di IVECO, danneggiante, ed il momento della percezione dello stesso da parte del danneggiato, Cave Marmi Vallestrona s.r.l., non coincidono, perchè tra loro si verifica uno stacco temporale. Per questa lunga latenza non si può incolpare d’inerzia il titolare del diritto al risarcimento poiché, al momento dell’inflizione del danno, questo non poteva esercitare il proprio diritto, considerato che, in conformità alla disposizione contenuta nell’art. 2935 c.c. e a consolidata giurisprudenza (Cass. n. 2305/2007; Cass. 9 maggio 2000 n. 5913; Cass. 28 luglio 2000 n. 9927 e Cass. 21 febbraio 2003 n. 2645, Cass. 26188/11, Cass. 10 dicembre 2013 n. 27527) la prescrizione decorre dalla percezione del danno e non dalla cessazione della condotta generatrice dello stesso.

Pertanto (ed in tal senso si veda Cass. 9 maggio 2000 n. 5913), è indispensabile che il titolare del diritto al risarcimento sia consapevole sia dell’esistenza di un danno, sia della sua ingiustizia.

Chiarito che il momento in cui tale diritto poteva essere fatto valere coincide con quello in cui il danno derivante dalla condotta illecita si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (in tal senso: Cass. n. 2305/2007; Cass. 9 maggio 2000 n. 5913; Cass. 28 luglio 2000 n. 9927 e Cass. 21 febbraio 2003 n. 2645 e Cass. Ordinanza n. 18176/2019), è necessario osservare che il titolare del diritto al risarcimento ha fatto riferimento, quale data in cui ha avuto piena certezza (e non mera presunzione) della violazione del diritto antitrust da parte di IVECO, al 19.07.16, data della decisione da parte della Commissione Europea; ciò in considerazione del principio secondo cui il termine di prescrizione inizia a decorrere solamente dal momento in cui il danno ingiusto è oggettivamente identificabile all’esterno (in tal senso Cass. n. 6921/2015).

Al contrario, IVECO sostiene che il dies a quo in questione vada individuato alla data di apertura dell’indagine da parte dell’Autorità antitrust dal gennaio 2011, se non dal settembre 2010, quando l’Autorità garante della concorrenza del Regno Unito (OFT) ha dato avvio ad un procedimento in merito alla presunta condotta anticoncorrenziale delle Case costruttrici.

La Corte osserva in tal senso che, notoriamente, i danni causati da comportamenti anticoncorrenziali sono caratterizzati da uno scollamento temporale tra il momento in cui l’illecito viene posto in essere e quello in cui viene percepito dal danneggiato. Infatti, le intese anticoncorrenziali sono di norma segrete tra le stesse parti dell’accordo illecito e non conosciute dagli altri soggetti del mercato. Allo stesso modo, non sono immediatamente percepibili dal mercato gli abusi di posizione dominante, in special modo le pratiche illecite in materia di prezzi, dove il discrimine tra un comportamento efficiente e un atto meramente emulativo dipende dai costi interni dell’impresa dominante.

Il problema è stato già affrontato dalla Cassazione, che ha fissato i principi per l’individuazione del momento di decorrenza della prescrizione nelle cause di risarcimento antitrust con la sentenza n. 2305/2007, già citata.

Pertanto, deve ritenersi condivisibile la decisione del Tribunale che ha individuato il dies a quo nel momento della decisione della Commissione Europea, posto che, essendo questo il principio generale di riferimento, era onere di IVECO provare che, ai fini della decorrenza, il momento in cui chi ha agito aveva avuto ragionevole percezione e contezza del danno subito e della sua ingiustizia, fosse un momento precedente a quello della citata decisione della Commissione.

Tuttavia, il convenuto in primo grado non ha provato tale effettiva conoscenza ma ha argomentato deducendo che Cave Marmi Vallestrona s.r.l., essendo un’impresa e non un consumatore, era perfettamente edotta del settore in cui opera IVECO essendo connesso e contiguo al proprio, pertanto, avrebbe potuto avere contezza delle indagini avendo una conoscenza approfondita del mercato rilevante. Ha, quindi, fatto riferimento alla giurisprudenza del Tribunale di Milano che interpreta il momento percettivo dell’illecito come quello in cui può ritenersi che la parte che lamenta il danno abbia potuto averne conoscenza soccorrendo anche alle notizie dei quotidiani o alla circolazione delle informazioni tra gli addetti al settore. (v. Tribunale di Milano, Sentenza 3 aprile 2014, n.4587 e Sentenza 15 ottobre 2014 n. 12043).

 

Sul punto, la Corte osserva quanto segue.

Anzitutto Cave Marmi Vallestrona s.r.l. è sì un’impresa ma opera in un settore estremamente diverso (cave di granito e marmo e lavorazione dei materiali estratti) da quello di IVECO (produttrice di autocarri e veicoli pesanti) e acquista autocarri poiché sono beni strumentali e accessori all’esercizio della propria attività.

Conseguentemente, dato che dell’avvio del procedimento da parte della Commissione è stata data pubblica notizia con comunicati stampa e riviste nel settore degli autotrasporti (doc.11, 12, 13, 14 fascicolo di primo grado parte IVECO), settore del tutto estraneo alla sfera del soggetto leso, questi non sono idonei a dimostrare che l’odierno appellato ne avesse avuto conoscenza.

Ulteriormente, queste notizie, come già rilevato dal primo Giudice, sono connotate da una certa genericità, poiché non fanno preciso riferimento a fatti, violazioni, provvedimenti. Tale genericità, pertanto, non può ricondurre la notizia del cartello intercorso tra IVECO e le altre imprese alla sfera di conoscenza di Cave Marmi Vallestrona s.r.l. o, quantomeno, IVECO ha omesso di darne prova. Si precisa in ultimo che, come si legge nei doc.11 e 12 già citati, le notizie si riferivano a “sospetti cartelli” che avrebbero reso un’eventuale azione dell’impresa lesa -prima della decisione della Commissione- del tutto aleatoria.

Dunque, prima della decisione della Commissione, non poteva ritenersi ragionevolmente conosciuta l’intesa illecita intercorsa tra le imprese da parte della generalità degli utenti, considerata la sua natura riservata e segreta tra i partecipanti al cartello e alle notizie generiche diffuse nel solo canale settoriale in cui operava IVECO.

Per completezza di esame, si aggiunga che le sentenze del Tribunale (est. Pres. M.A.Tavassi) citate dall’odierno appellante, Sentenza 3 aprile 2014, n.4587 e Sentenza 15 ottobre 2014 n. 12043, non posso ritenersi pertinenti al caso di specie poiché il contenzioso al quale si riferivano ha riguardato la complessa vicenda inerente al procedimento avviato dall’AGCM contro Wind, Telecom e Vodafone per un sospetto abuso di posizione dominante, e in tale specifico contesto si è instaurato il procedimento tra Fastweb e Vodafone.

Per quanto qui interessa, la domanda proposta avanti al Tribunale sopra citato non ha trovato accoglimento in quanto il giudice ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione sollevata da Vodafone, facendo decorrere il termine prescrizionale di cinque anni dall’avvio del procedimento dell’AGCM (dal provvedimento n. 14045 del 23 febbraio 2006). Tale data coinciderebbe con il momento percettivo dell’illecito, quando Fastweb avrebbe potuto aver coscienza di aver subito un danno. Ai fini di tale determinazione, nella sentenza è stato dato rilievo alle caratteristiche soggettive di Fastweb che, in quanto impresa attiva nel medesimo mercato del danneggiante ed essendo anche intervenuta nel procedimento dell’AGCM nel marzo 2005, non poteva essere ritenuta estranea alle dinamiche del mercato e ignara dell’esistenza del comportamento posto in essere dalle tre imprese di telefonia.

Il problema è stato già affrontato dalla Cassazione, che ha fissato i principi per l’individuazione del momento di decorrenza della prescrizione nelle cause di risarcimento antitrust con la sentenza n. 2305/2007.

Con la sentenza del 2007, la Suprema Corte, ribadendo che ai sensi del combinato disposto dagli art. 2934 e 2935 c.c. l’inerzia del titolare del diritto acquista significato ai fini della prescrizione solo di fronte alla possibilità di esercizio del diritto stesso, ha stabilito che nel caso dei danni causati da comportamenti anticoncorrenziale la percezione degli effetti della condotta anticompetitiva (ad esempio l’aumento del prezzo) non è sufficiente al soggetto danneggiato per esercitare il diritto al risarcimento, in quanto è indispensabile anche la coscienza dell’ingiustizia del danno. Nei casi di violazione della normativa antitrust la coscienza dell’ingiustizia del danno si verifica quando il soggetto danneggiato è stato adeguatamente e ragionevolmente informato circa il fatto che la perdita economica (rappresentata ad esempio dall’aumento dei prezzi pagati o dalla riduzione dei margini di guadagno) sia conseguenza dell’illecito anticoncorrenziale.

I danni antitrust appartengono, quindi, alla categoria dei danni lungolatenti allo stesso modo dei danni causati da malattia contratta per contagio per fatto di terzi sui cui la giurisprudenza di legittimità (Cass. 21 febbraio 2003, n. 2645), ha già avuto modi di esprimersi stabilendo che la prescrizione non decorre dal momento del contagio, né dal momento in cui la malattia si manifesta, ma dal momento in cui la malattia può essere percepita come conseguenza del comportamento colposo o doloso del terzo. L’accertamento del momento in cui il danno e la sua ingiustizia diventano conoscibili spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e coerentemente motivato.

Nelle sue successive sentenze (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26188 in Foro It., 2011, I, 2685richiamata anche in Cass. 22 maggio 2013, n. 12551) la Cassazione sviluppando i principi della sentenza del 2007 ha stabilito che nel caso del cartello delle assicurazioni il momento di esordio della prescrizione ha coinciso con la data di pubblicazione del provvedimento sanzionatorio. Prima di tale momento non poteva ritenersi conosciuta l’intesa illecita intercorsa tra le assicurazioni da parte della generalità degli utenti e dei consumatori, considerata la sua natura riservata e segreta tra i partecipanti al cartello.

In conclusione, questa Corte esclude la rilevanza dell’accostamento operato da IVECO tra quel contenzioso del Tribunale sopra richiamato e la fattispecie per cui è causa.

Tanto detto, la Corte rigetta il motivo di impugnazione del capo della sentenza n. 9759/18 che non ha accolto l’eccezione preliminare di merito sulla prescrizione.

 

II. INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI SETTLEMENT ed in particolare esercizio del DIRITTO DI DIFESA

7. Il Giudice di prime cure ha ritenuto che il procedimento di settlement assicuri ai soggetti interessati l’esercizio del diritto di difesa, consentendo agli stessi di effettuare una scelta consapevole, dopo avere conosciuto gli elementi di prova a loro carico, avere avuto accesso al fascicolo ed essendo stati messi in condizione di essere sentiti sugli addebiti, come del resto espressamente riconosciuto dalla convenuta al momento in cui ha formulato la proposta di transazione.

7.1. Con il secondo motivo di appello, IVECO lamenta l’erroneità della decisione del primo Giudice, deducendo che le garanzie poste a tutela delle imprese aderenti al procedimento di settlement non sono tali da assicurare il livello minimo di tutela previsto dall’art. 6 CEDU, nonché, dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, né tanto meno quelle offerte dalle autorità giudiziarie nazionali, atteso anche il carattere sostanzialmente penale del procedimento, nell’accezione autonoma di cui all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo. In particolare, costituirebbero compressioni del diritto di difesa: i) le modalità di comunicazione degli addebiti; ii) l’obbligatoria rinuncia alla richiesta di audizione orale; iii) la limitazione del diritto di accedere al fascicolo istruttorio. Deduce, pertanto, che “la scelta dell’impresa di accedere alla procedura di settlement, sulla base di un calcolo di mera convenienza, non può, chiaramente, significare che la stessa impresa acconsenta a che le stesse limitazioni nei propri diritti fondamentali spieghino parimenti effetto in un giudizio autonomo e diverso, quanto ai suoi presupposti e alle finalità, ossia nel giudizio civile in cui essa può essere chiamata a rispondere di una richiesta di risarcimento danni” (pag. 26 dell’atto di appello).

7.2. CAVE MARMI deduce che, ai sensi dell’art. 10-bis del Reg. CE n. 622/2008, la Commissione informa le parti che partecipano alla transazione circa gli addebiti, gli elementi probatori, e le versioni non riservate di qualsiasi specifico documento accessibile; che per garantire il diritto di difesa, la Commissione sente il punto di vista delle parti sugli addebiti mossi (considerando n. 2 del Reg. CE n. 622/2008) e sugli elementi di prova utilizzati prima di adottare una decisione definitiva e, perciò, le parti hanno diritto di accedere al fascicolo della Commissione; che qualora la Commissione si discosti dalla sua posizione iniziale, informa le parti per garantire loro il diritto alla difesa secondo le norme generali di procedura e le parti potranno accedere al fascicolo e chiedere un’audizione orale.

7.3. La Corte osserva quanto segue, l’istituto del settlement è stato introdotto nell’ordinamento comunitario con il Regolamento (CE) n. 622/2008 del 30 giugno 2008 che modifica il regolamento (CE) n. 773/2004 per quanto riguarda la transazione nei procedimenti relativi ai cartelli.

Il regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli 81 e 82 del trattato CE fissa le regole concernenti la partecipazione a detti procedimenti delle parti interessate.

Le parti del procedimento possono essere disposte a riconoscere la loro partecipazione a un cartello in violazione dell'articolo 81 del trattato e la loro responsabilità rispetto a detta partecipazione se possono ragionevolmente anticipare le previste conclusioni della Commissione quanto alla loro partecipazione all'infrazione e al livello delle ammende applicabili e condividere dette conclusioni. È opportuno che la Commissione possa rivelare alle parti, se del caso, gli addebiti che intende muovere nei loro confronti in base agli elementi di prova contenuti nel fascicolo e le ammende che rischiano di vedersi infliggere. Siffatta comunicazione nella fase iniziale dovrebbe permettere alle parti interessate di esprimere il proprio punto di vista sugli addebiti che la Commissione intende muovere nei loro confronti, nonché sulla loro potenziale responsabilità.

Quando la Commissione, nella comunicazione degli addebiti, rispecchia le proposte di transazione delle parti e le risposte di queste ultime confermano che la comunicazione degli addebiti corrisponde al contenuto delle loro proposte di transazione, la Commissione deve allora poter procedere all'adozione di una decisione ai sensi dell'articolo 7 e dell'articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003, previa consultazione del comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti ai sensi dell'articolo 14 del medesimo regolamento.

Conseguentemente, attraverso la procedura di settlement la Commissione e le imprese coinvolte in un procedimento antitrust possono addivenire ad un accordo al fine di definire celermente l’esito dell’istruttoria, come è stato nel caso di IVECO.

Sicuramente la circostanza che lo stesso organo di vertice del sistema antitrust comunitario assommi in sé forme di potestà normativa, inquirente e giudicante, deve essere oggetto di attenta analisi, soprattutto in relazione ai diritti delle parti e al rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Prima di procedere alla descrizione della procedura di settlment, la Corte osserva che IVECO ha deciso liberamente di aderire alla procedura di cui all’art. 10 bis del Regolamento CE n.773/2004 ammettendo la propria partecipazione al cartello e ottenendo, in questo modo, una riduzione del 10% sulla sanzione irrogatagli dalla Commissione.

In data 19 luglio 2016 la Commissione Europea, dopo avere avviato un procedimento ai sensi dell’art 11 paragrafo 6 Reg n 1/2003 nei confronti dei Iveco e di altre case produttrici, ha adottato una decisione a seguito di richiesta di transazione avanzata dalla convenuta in conformità all’art 10 bis paragrafo due, reg 773/2004.

Con tale decisione la Commissione ha accertato che “i destinatari della decisione hanno partecipato a una collusione e hanno responsabilità ad essa connesse, violando l’art 101 Trattato” durante i periodi che sono espressamente indicati. In particolare, ha accertato che “l’infrazione consisteva in accordi collusivi sulla fissazione dei prezzi e sugli aumenti dei prezzi lordi degli autocarri medi e pesanti; gli accordi riguardavano inoltre le tempistiche e il trasferimento dei costi relativi all’introduzione di tecnologie a basse emissioni per autocarri medi e pesanti richieste dalle norme da Euro 3 a Euro 6.

L’infrazione aveva interessato l’intero territorio del SEE ed era durata dal 17 gennaio 1997 al 18 gennaio 2011”.

La procedura di settlement è facoltativa per le parti che intendono aderirvi ed è sicuramente vantaggiosa per le imprese coinvolte, poiché permette una definizione celere della controversia e garantisce una riduzione della sanzione in caso di collaborazione; le parti decidono di aderire (o meno), effettuando una scelta consapevole dopo aver conosciuto gli elementi di prova a loro carico, avendo avuto accesso ai fascicoli ed essendo state messe in condizione di essere sentite sugli addebiti.

Nel caso di specie, l’appellante lamenta la compressione del proprio diritto di difesa nello svolgimento di tale transazione.

Questa Corte ritiene necessario, ai fini della decisione, analizzare le caratteristiche del procedimento in questione.

In primo luogo, all’avvio di una procedimento istruttorio volto ad accertare l’esistenza di un cartello, la Commissione, una volta raccolte evidenze probatorie sufficienti a supportarne l’esistenza, verifica l’interesse delle parti coinvolte ad aderire alla procedura e a tal fine concede alle parti interessate un termine entro il quale devono manifestare, per iscritto, la disponibilità a partecipare a discussioni tese all’eventuale presentazione di proposte di transazione in un momento successivo della procedura. In questa fase, le parti coinvolte non ammettono alcuna responsabilità o alcuna partecipazione all’infrazione.

In caso di risposta affermativa a tale invito, come è stato per IVECO, la Commissione da’ inizio alla procedura di settlement e, nell’ambito di tali discussioni, le parti -come indicato al paragrafo 16 della Comunicazione- vengono informate in merito agli “elementi essenziali” quali “i fatti contestati, la loro classificazione, la gravità e durata del presunto cartello, l’imputazione della responsabilità, una stima della forcella delle ammende applicabili, nonché gli elementi probatori utilizzati a sostegno dei potenziali addebiti”.

Già in questa fase preliminare si osserva una forma di tutela rinforzata in capo alle parti che devono ottenere le informazioni essenziali volte alla conclusione di una eventuale transazione.

Conseguentemente, raggiunta un’intesa comune sugli addebiti, la Commissione fissa un termine entro il quale le parti possono formalizzare una proposta definitiva di transazione. In tale proposta, si sottolinea, esse devono: A- riconoscere la propria partecipazione e responsabilità nell’illecito, che dovrà essere sinteticamente descritto; B- fornire un’indicazione dell’importo massimo della sanzione che accetterebbero di corrispondere; C- confermare di essere state sufficientemente informate in merito agli addebiti che la Commissione intende muovere nei loro confronti e di aver avuto la possibilità di esprimere il proprio punto di vista nell’ambito delle precedenti fasi della procedura;

Di rinunciare a determinati diritti quali l’accesso agli atti nel fascicolo e la possibilità di essere sentiti in audizione, posto che questi si riacquisiscono se la comunicazione degli addebiti non riflette il contenuto della proposta di transazione (v. par. 20 della Comunicazione).

Sul punto, è chiaro che la procedura sia caratterizzata dalla volontà di definire la controversia il più celermente possibile e le rinunce siano dettate dalla necessità di rendere tale procedura scorrevole in caso di concordanza tra la parte e la Commissione.

A garanzia dei diritti di difesa, poi, prima della decisione definitiva, la Commissione è tenuta a sentire le argomentazioni delle parti in relazione sia agli addebiti mossi nei loro confronti sia alle evidenze probatorie utilizzate a supporto della tesi accusatoria e, in qualsiasi momento della procedura di transazione, le parti possono rivolgersi al consigliere in merito a qualsiasi questione inerente al principio del giusto processo. (v. par. 18 della Comunicazione)

Ulteriormente, proprio a supporto dell’effettivo esercizio di difesa, nel caso in cui la Commissione decida di adottare una posizione definitiva che differisce da quella espressa nella comunicazione degli addebiti, deve informare le parti e, in considerazione di questa eventualità, le parti avranno diritto di accesso alla documentazione contenuta nel fascicolo istruttorio, nonché, di chiedere un’audizione per rispondere alla comunicazione degli addebiti. (v. par. 29 della Comunicazione) Infine, le decisioni definitive adottate dalla Commissione in applicazione del Reg 1/2003 sono soggette al controllo giurisdizionale.

Tanto premesso, alla luce della disciplina generale, dai documenti prodotti da IVECO in primo grado rispetto alla procedura di settlement, (si veda in particolare il doc. 26 e 26 bis) risulta che: “i Destinatari hanno avuto accesso al file completo della Commissione” e “durante tali incontri, ogni

Destinatario ha espresso la propria opinione circa gli addebiti formulati dalla Commissione contro di loro. I commenti dei Destinatari sono stati attentamente presi in considerazione e, laddove appropriato, ne è stato tenuto conto” Inoltre, ogni Destinatario conferma di aver avuto sufficienti opportunità per esporre i propri pareri alla Commissione” e che “gli siano state fornite dalla Commissione tutte le informazioni necessarie per permettergli di prendere una decisione informata sul se accordarsi o meno.”

Avendo esaminato i passaggi fondamentali della procedura di settlement, questa Corte osserva come, nella fattispecie per cui è causa, le doglianze di parte appellante, con particolare riferimento alla compressione del proprio diritto di difesa per i) le modalità di comunicazione degli addebiti; ii) l’obbligatoria rinuncia alla richiesta di audizione orale; iii) la limitazione del diritto di accedere al fascicolo istruttorio, risultino infondate poiché (oltre ad essere piuttosto generiche e non sufficientemente circostanziate), il procedimento transattivo ha realizzato le garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU e si è concluso con una decisione, emessa ex artt.7 e 23 del Regolamento CE 1/2003.

Occorre sottolineare che tale decisione è soggetta a controllo giurisdizionale. Nella fattispecie, la parte appellante ha consapevolmente rinunciato a tale sindacato: IVECO aveva diritto e facoltà di impugnare la decisione ma ha prestato acquiescenza alla stessa; con tale comportamento l’appellante ha ammesso non solo la propria partecipazione alla condotta illecita ma anche la propria responsabilità nella commissione dello stesso con piena cognizione di ogni suo elemento ed, implicitamente, ha confermato il rispetto di ogni garanzia nella svolgimento della transazione.

Si veda in tal senso il principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale secondo il quale gli Stati possono scegliere se realizzare le garanzie del giusto processo, in conformità all’art.

6 CEDU, già nella fase amministrativa, o mediante assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato dall’autorità amministrativa ad un sindacato giurisdizionale pieno nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie di un giusto processo. (cfr. Cass. Sez. Unite 30.09.09 n. 20935).

In forza di quanto sopra detto, non assumono rilievo le doglianze di parte appellante aventi ad oggetto le lamentate violazioni e compressioni del suo diritto di difesa durante il procedimento di settlement.

 

III. APPLICABILITÀ DELL’ART. 16 REG. CE N. 1/2003 CON RIFERIMENTO ALLE DECISIONI DI SETTLEMENT

Il Giudice di prime cure ha ritenuto applicabile alle decisioni di settlement il disposto dell’art. 16, primo comma, Reg. CE n. 1/2003 a norma del quale “quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni, pratiche ai sensi dell’art. 81 o 82 del trattato (ora 101 e 102 TFUE) che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati …”.

Accertato che il procedimento amministrativo che ha condotto all’emanazione del suddetto provvedimento del 19.7.2016 ha realizzato le garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU e si è concluso con una decisione, emessa ex artt. 7 e 23 Reg. CE n. 1/2003, assoggettabile ad un sindacato giurisdizionale a cui la parte ha consapevolmente rinunciato, il Tribunale ha dunque disatteso le istanze di sospensione, per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE, ovvero per proporre incidente di costituzionalità, formulate da IVECO con riferimento all’art. 16 del Reg. CE n. 1/2003.

8.1. Sempre con il terzo motivo di appello, IVECO lamenta che la ritenuta vincolatività per il giudice nazionale dell’accertamento dell’infrazione compiuto dalla Commissione Europea, benché quest’ultima svolga, nell’ambito dell’applicazione del diritto antitrust, funzioni proprie di un’autorità amministrativa, si pone in contrasto: a) con il principio di netta separazione tra le competenze degli organi amministrativi e del potere giudiziario ex artt. 101 e 102 Cost., b) con principio in base al quale “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, di cui all’art. 101, comma secondo, Cost., c) con il diritto alla difesa garantito dall’art. 24, comma secondo, Cost., d) con il principio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, di cui all’art. 104 Cost., e) con i principi del giusto processo e del pieno contraddittorio tra le parti, di cui all’art. 111 Cost..

In particolare, IVECO deduce che affinché il giudice del risarcimento sia vincolato da una decisione amministrativa occorre che essa sia frutto di un procedimento di cognizione piena e che nei suoi confronti l’organo giurisdizionale abbia modo di svolgere un controllo pieno e intrinseco in linea con i principi della nostra Costituzione, con le norme dell’Unione (Carta dei diritti fondamentali) dotate di efficacia diretta e con l’art. 6 CEDU. Al contrario, secondo tesi:

  • la decisione di settlement non è espressione di una valutazione approfondita e di cognizione piena;
  • la Commissione Europea non può essere ritenuta un soggetto terzo, imparziale e neutrale, ai sensi della CEDU e della Carta costituzionale;
  • non è garantito alcun vaglio giurisdizionale successivo della decisione della Commissione;

8.2.  CAVE MARMI contesta la fondatezza delle deduzioni avversarie richiamando, sul punto, le motivazioni della sentenza.

8.3. La Corte osserva quanto segue.

La disposizione di cui all’art. 16 Regolamento CE 1/2003 prevede un meccanismo che mira ad evitare pronunce confliggenti tra le autorità, le giurisdizioni e la Commissione, in recepimento della giurisprudenza comunitaria.

Il capitolo IV del Regolamento n. 1/2003 stabilisce che la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri applicano le regole di concorrenza comunitarie in stretta collaborazione e che le stesse hanno la facoltà di scambiare ed utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto comprese le informazioni riservate.

Relativamente alla cooperazione fra la Commissione e le Autorità garanti degli Stati membri viene stabilito dall’art. 11 del Regolamento che la Commissione fornisce a tali Autorità, su richiesta di queste ultime, copia di tutti i documenti necessari alla valutazione della pratica trattata e dei documenti raccolti ai fini dell’applicazione degli articoli 7 (constatazione ed eliminazione delle infrazioni), 8 (misure cautelari), 9 (impegni), 10 (constatazione di inapplicabilità) e 29 (ammende).

A loro volta le Autorità, quando agiscano ai sensi dell’art. 81 e dell’art. 82 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, devono informare per iscritto la Commissione prima o immediatamente dopo l’avvio della prima misura formale di indagine. Inoltre, le Autorità possono consultare la Commissione su qualsiasi caso che implichi l’applicazione del diritto comunitario.

In relazione ai rapporti tra giudizio civile e procedimento della Commissione europea, l’art. 16 del Regolamento n. 1/2003 prevede espressamente che “quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 o 82 del Trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all’articolo 234 del Trattato”.

Sotto il profilo sostanziale, dunque, la norma esclude la possibilità per il giudice nazionale di giungere a conclusioni differenti rispetto a una decisione già adottata della Commissione.

Il principio era già stato affermato dalla Corte di giustizia (v. Sentenze Corte giust., Masterfoods, CIA International, C- 194/94 e Delimitis, C-234/89), secondo la quale i giudici nazionali quando “si pronunciano su accordi o pratiche che sono già oggetto di decisione da parte della Commissione, non possono adottare decisioni in contrasto con quella della Commissione”

Imponendo ai giudici nazionali il rispetto delle decisioni della Commissione, viene fortemente limitata la giurisdizione del giudice ordinario, attribuendo peraltro alle decisioni della Commissione un effetto più ampio di quello prospettato dal Trattato che ne prevede il carattere vincolante soltanto per i destinatari.

Tale limitazione del potere di decisione della controversia dei giudici nazionali ha suscitato dubbi circa la compatibilità dell’art. 16 con la Costituzione, risultando in tal modo le autorità giudiziarie vincolate alle decisioni di un organo amministrativo.

Secondo questa tesi, infatti, il giudice italiano è “soggetto soltanto alla legge” ai sensi dell’art. 101, 2° comma, della Costituzione e non a provvedimenti presi da autorità amministrative, anche comunitarie.

Tali dubbi devono essere superati, sul presupposto che il Trattato CE ha attribuito alla Commissione la competenza di definire i principi sanciti dagli articoli 81 e 82 CE

Sempre in tal senso, deve essere rilevato che il Regolamento n. 1/2003 rappresenta senz’altro un atto vincolante che, attribuendo espressamente alle decisioni della Commissione il medesimo valore, svolgerebbe un ruolo assimilabile a quello di una “norma in bianco, integrata di volta in volta nel contenuto dalla decisione della Commissione”.

Il divieto di pronunciarsi in modo non conforme a una decisione della Commissione risulta comunque contemperato dalla facoltà concessa al giudice nazionale, qualora nutra dubbi in merito alla decisione della Commissione, di proporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. In tal modo, pertanto, il giudice nazionale non risulterebbe vincolato dalla decisione adottata da un organo amministrativo quanto, esclusivamente, dalla pronuncia della Corte in merito.

In conclusione, secondo questa Corte, una volta adottata la decisione della Commissione questa ha efficacia vincolante sui giudici nazionali che devono pronunciarsi ex artt. 81 e 82 (ora 101 e 102 TFUE) sugli stessi accordi e soggetti, per gli stessi fatti.

A ciò si aggiunga quanto risulta dal doc. 26 e 26 bis prodotto da IVECO nel fascicolo di primo grado: a titolo esemplificativo, a pagina 13 del predetto documento, ove viene descritta la procedura adottata dalla Commissione, si legge che «i Destinatari hanno avuto accesso al file completo della Commissione» e «Durante tali incontri, ogni Destinatario ha espresso la propria opinione circa gli addebiti formulati dalla Commissione contro di loro. I commenti dei Destinatari sono stati attentamente presi in considerazione dalla Commissione e, laddove appropriato, ne è stato tenuto conto». Inoltre, ogni destinatario conferma «di aver avuto sufficienti opportunità per esporre i propri pareri alla Commissione» e che «gli siano state fornite dalla Commissione tutte le informazioni necessarie per permettergli di prendere una decisione informata sul se accordarsi o meno».

Si ricorda, inoltre, che i principali mezzi di prova sono costituiti dai documenti presentati da Iveco spa (oltre alle altre parti), dalle dichiarazioni aziendali e dai documenti acquisiti dalla Commissione durante l’ispezione.

Inoltre, a pagina 36 del documento 26 bis (prodotto dall’appellante nel fascicolo di primo grado), si legge anche che Iveco spa ha fornito le “presentazioni che i concorrenti si scambiavano durante tali riunioni”. Ciò costituisce, in ogni caso, prova che IVECO ha partecipato attivamente al cartello.

Nell’ordinamento italiano, fino all’adozione del decreto legislativo 3/2017, non esisteva alcuna previsione normativa sull’efficacia delle decisioni dell’AGCM.

Peraltro, a partire dal 2009 si è sviluppato un orientamento giurisprudenziale in base al quale la decisione dell’Autorità che constata l’infrazione costituisce, rispetto ai giudizi successivi, “prova privilegiata” della sussistenza del comportamento accertato, con riferimento alla ricostruzione dei fatti e alla qualificazione di antigiuridicità della condotta. Questo approccio assegna un valore probatorio particolarmente pregnante al provvedimento amministrativo in ragione dell’autorevolezza dell’autorità emanante e degli strumenti e modalità di indagine da essa utilizzati, senza però compromettere l’indipendenza di valutazione del giudice e senza precludere all’impresa convenuta di argomentare in senso contrario. Si veda in tal senso la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civ., 13 febbraio 2009, n. 3640.

In alcune pronunce successive la Corte ha specificato che il ruolo di “prova privilegiata” della decisione amministrativa, pur non precludendo la facoltà per l’impresa convenuta in giudizio di fornire la prova contraria dei fatti accertati, impedisce che possano rimettersi in discussione i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione in base allo stesso materiale probatorio o alle stesse argomentazioni già disattesi in sede di procedimento davanti all’autorità di concorrenza (cfr. Corte di cassazione, sez. III civ., 20 giugno 2011, n. 13486).

Ciò posto, la Corte osserva che, nella fattispecie di cui è causa, come motivato al punto precedente, la procedura di settlement si è conclusa con una decisione a norma degli articoli 7 e 23 del Regolamento CE 1/2003 nel rispetto del giusto processo a norma dell’art. 6 CEDU che non è stata oggetto di impugnazione da parte dell’odierno appellante.

Ciò considerato, la doglianza di IVECO in merito all’inefficacia della decisione della Commissione sul giudizio nazionale e la derubricazione di tale pronuncia da “prova privilegiata” a “prova valutabile insieme alle altre prove”, non può trovare accoglimento.

Pur non avendo la prima decisione valore vincolante, l’illecito per cui IVECO è stato sanzionato non è mai stato contestato, né nel procedimento avanti alla Commissione, né a quello avanti al Tribunale, né in quello dinnanzi a questa Corte, e ciò non può essere ignorato dal Collegio.

Pertanto, il concludente valore probatorio dell’accertamento dell’illecito non deriva tanto dalla decisione della Commissione in sé, quanto dall’istruttoria che ha condotto a tale pronuncia, caratterizzata dalla totale collaborazione di IVECO, sino alla sanzione ed alla sua condotta successiva.

Nella fattispecie per cui è causa - considerando o meno la pronuncia quale “prova privilegiata”- era, comunque, ammessa prova contraria e tale prova è in ogni caso mancata.

Dunque, alla luce di tali considerazioni, la Corte ritiene che non assuma rilevanza la doglianza di parte appellante avente ad oggetto i limiti del sindacato del giudice dell’Unione in quanto IVECO ha rinunciato consapevolmente al suo diritto ad impugnare la decisione amministrativa ed ha esercitato il proprio diritto di difesa con cognizione piena di ogni elemento del procedimento svoltosi dinnanzi la Commissione.

9. Tanto premesso e considerato in ordine alla valenza della decisione presa della Commissione e alle motivazioni esposte al capo III; considerato che non vi è violazione dei diritti di difesa e del contraddittorio, come argomentato al capo II, la Corte disattende le richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e di incidente di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale avanzate da IVECO.

10. Per tutti i motivi di cui sopra, la sentenza del Tribunale di Milano deve essere integralmente confermata nei termini di cui al dispositivo e per i motivi di cui sopra.

11. Le spese di lite del grado d’appello, liquidate come in dispositivo in applicazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e successive modifiche, seguono la soccombenza, che è totale in capo a IVECO.

12. Sussistono, inoltre, i presupposti di cui all’art. 13 co. 1-quater, di cui al D.M. 115/2002 per ritenere l’appellante tenuta al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello già versato per la presente impugnazione.

 

P.Q.M.

La Corte

nella causa d’appello tra IVECO S.P.A. e CAVE MARMI VALLESTRONA S.R.L.,

I. rigetta l’appello di IVECO S.P.A. e conferma la sentenza n. 9759/2018 del Tribunale di Milano;

II. condanna IVECO S.P.A. al pagamento delle spese di lite in favore di CAVE MARMI VALLESTRONA liquidate in complessivi € 3.500,00, oltre rimborso spese forfettarie, nella misura del 15%, IVA, e CPA, come per legge.

Sussistono i presupposti di cui all’art. 13 co. 1-quater, di cui al D.M. 115/2002, in capo alla parte appellante.

 

Così deciso in Milano, il 7.11.2019

Il Consigliere relatore - Maria Elena Catalano

Il Presidente  - Carla Romana Raineri

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI MILANO
SEZIONE PRIMA CIVILE

composta dai Signori:

Dott. Carla Romana Raineri - Presidente

Dott. Maria Iole Fontanella - Consigliere

Dott. Maria Elena Catalano - Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nella causa civile promossa in grado d'appello con citazione notificata telematicamente il 12.11.18 e decisa nella camera di consiglio del 07.11.19

TRA

 

IVECO S.P.A. (C.F. 09709770011), con il patrocinio dell’avv. RAFFAELLI ENRICO ADRIANO e dell’avv. TETI ELISABETTA (TTELBT72M65F205V) Via Monte Napoleone, 18 20121 MILANO; RAFFAELLI ALESSANDRO ALBERICO (RFFLSN77S23C933K) Via Monte Napoleone, 18 20121

MILANO; elettivamente domiciliata in VIA MONTE NAPOLEONE, 18 20121 MILANO presso il difensore avv. RAFFAELLI ENRICO ADRIANO

 

Appellante

E

 

CAVE MARMI VALLESTRONA S.R.L. (C.F. 00412780033), con il patrocinio dell’avv. FERRARIO

PIETRO elettivamente domiciliata in VIA RISORGIMENTO, 2 21018 SESTO CALENDE presso il difensore avv. FERRARIO PIETRO

 

Appellato

 

Oggetto: Antitrust

 

CONCLUSIONI DELLE PARTI

 

Per IVECO S.P.A.:

“In riforma della sentenza, pubblicata in data 4 ottobre 2018 dal Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa “A”, n. 9759/2018 ad esito della causa civile iscritta sub R.G. 9266/2018, per i motivi indicati in narrativa:

In via preliminare di merito

dichiarare per le ragioni esposte in narrativa l’estinzione per avvenuta prescrizione dei diritti azionati da Cave Marmi Vallestrona S.r.l. e, per l’effetto, rigettare tutte le domande formulate nei confronti di Iveco S.p.A.;

In via principale

risolvere per i motivi indicati in narrativa la questione pregiudiziale di merito avente ad oggetto l’applicabilità o meno dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10 bis del Regolamento CE 773/2004, così come modificato dal Regolamento CE 622/2008, nel senso della non applicabilità di tale previsione, assumendo occorrendo ogni consequenziale ed opportuno provvedimento ai fini della prosecuzione del giudizio di prime cure;

In subordine

per il caso di ritenuta non chiarezza in punto di applicabilità o meno dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10 bis del Regolamento CE n. 773/2004, così come modificato dal Regolamento CE n. 622/2008, sospendere per i motivi indicati in narrativa il procedimento de quo ai fini dell’invocato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE;

In ulteriore subordine

per il caso di ritenuta applicabilità, eventualmente all’esito della pronuncia della Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10 bis del Regolamento CE n. 773/2004, così come modificato dal Regolamento CE n. 622/2008, sospendere per i motivi indicati in narrativa il procedimento de quo ai fini dell’invocato incidente di costituzionalità alla Corte Costituzionale;

In ogni caso

con vittoria di spese, diritti e onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio, oltre IVA e CPA.”.

 

Per CAVE MARMI VALLESTRONA S.R.L.:

“Nel merito: previa ogni opportuna declaratoria, rigettare tutte le domande ex adverso proposte, perché infondate in fatto ed in diritto, con integrale conferma della sentenza di primo grado n. 9759/2018, pronunciata in data 19 luglio 2018 dal Tribunale di Milano, in composizione collegiale, nell’ambito del procedimento rubricato al n. R.G. 9266/2018;

Con vittoria di spese, diritti e onorari di entrambi i gradi del giudizio, oltre Iva e Cpa”.

 

 

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

 

1. Con sentenza parziale depositata in cancelleria il giorno 4.10.2018 (n. 9759/2018), il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia d’impresa, pronunciando nella causa R.G. n. 9266/2018, promossa da CAVE MARMI VALLESTRONA s.r.l. contro IVECO s.p.a., ha così deciso:

“rigetta l’eccezione di prescrizione proposta dalla convenuta. Dispone la rimessione della causa sul ruolo, come da separata ordinanza.”.

2. Lo svolgimento del procedimento di primo grado è stato così sintetizzato dal Tribunale.

2.1. Con atto notificato il 2 febbraio 2018, la società attrice CAVE MARMI VALLESTRONA SRL ha citato in giudizio IVECO SPA, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della violazione della normativa antitrust, deducendo che:

 - CAVE MARMI, società esercente attività di acquisto, concessione ed esercizio di cave di granito e marmo, aveva acquistato in data 14.10.2008 da Iveco spa il veicolo Iveco Magirus As 440/ST/EA, corrispondendo la somma di euro 120.000,00 comprensiva di iva.

 - La Commissione Europea, dopo aver svolto un’inchiesta su possibili accordi collusivi aventi ad oggetto i prezzi di autocarri, aveva adottato la decisione in data 19.07.2016, accertando la violazione della normativa antitrust e irrogando pesanti sanzioni alle imprese costruttrici MAN, Volvo/Renault, Daimler, IVECO e DAF, per avere compiuto accordi collusivi in materia di prezzi degli autocarri dal 1997 al 2011. In particolare, aveva applicato ad IVECO, la quale aveva ammesso la partecipazione al cartello dal 26 giugno 2001 al 18 gennaio 2011, una sanzione pari alla somma di 494.606.000,00 euro, tenuto conto della riduzione del 10% della sanzione per la collaborazione con la Commissione.

2.2. Con comparsa depositata il 27.04.2018, la convenuta IVECO si costituiva, eccependo la prescrizione del diritto risarcitorio azionato e, nel merito, chiedendo il rigetto delle domande attoree. In particolare, deduceva che:

la decisione del 19.07.2016 era stata adottata all’esito di una procedura di settlement, disciplinata dall’art. 10 bis del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli artt. 81 e 82 del Trattato CE;

non applicandosi retroattivamente le nuove norme contenute nella Direttiva 2014/104/UE e nel d.lgs. n. 3/2017 sulla prescrizione, il diritto risarcitorio di CAVE MARMI era prescritto, in quanto nel settembre 2010 l’Autorità garante della concorrenza del Regno Unito, l’Office of Fair Trading, aveva avviato un procedimento in merito ad una presunta condotta anticoncorrenziale delle imprese costruttrici di cui era stata data notizia su diversi siti internet; inoltre era prescritto anche in conseguenza dell’avvio del procedimento da parte della Commissione nel mese di gennaio 2011, la cui notizia era stata diffusa a mezzo stampa;

le decisioni adottate dalla Commissione Europea all’esito di una procedura di settlement non erano vincolanti per il giudice del risarcimento, pena la violazione dei diritti di difesa tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali, in particolare gli artt. 47 e 48 par. 2.

2.3 Il Tribunale, ritenuto opportuno valutare preliminarmente la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata da IVECO, nonché la questione dell’efficacia delle decisioni della Commissione, trattandosi di questioni preliminare di merito da cui dipende la determinazione dell’ambito dell’istruttoria, fatte precisare le conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione.

2.4. La sentenza del Tribunale di Milano, che ha deciso nei termini di cui sopra, si è basata sui seguenti presupposti:

- l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione, non avendo parte convenuta IVECO provato che, alle date del settembre 2010 ovvero del gennaio 2011, dalla stessa indicate, l’attrice CAVE MARMI avesse avuto “adeguata e completa conoscenza della specifica violazione antitrust, della sua imputabilità al soggetto convenuto e del danno eziologicamente riferibile alla violazione antitrust” (pag. 8 della sentenza impugnata);

- che alle decisioni della Commissione adottate a seguito di richiesta di transazione avanzata in conformità all’art. 10-bis, paragrafo 2, del Reg. CE n. 773/2004, sia applicabile il disposto dell’art. 16 Reg. CE 1/2003 e che le stesse siano pertanto vincolanti per il giudice davanti al quale sia esercitata l’azione civile di risarcimento del danno, sia pur limitatamente alla sussistenza della violazione antitrust accertata, mentre l’accertamento del nesso di causalità e l’esistenza del danno in capo al singolo rimane riservato alla valutazione del giudice medesimo.

3. La sentenza del Tribunale di Milano è stata impugnata da IVECO s.p.a. con atto di citazione notificato a mezzo pec in data 12.11.2018, con il quale chiede la riforma della medesima sentenza.

3.1. In particolare, IVECO ha proposto appello sulla base dei seguenti motivi:

(i) erronea individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c. (pag. 12-18 dell’atto di appello);

(ii) erronea “interpretazione della normativa comunitaria in materia di settlement” (pag. 19-30 dell’atto di appello)

(iii) “inapplicabilità dell’art. 16 del regolamento CE n. 1/2003 alle decisioni di settlement” (pag. 30-41 dell’atto di appello).

L’appellante lamenta altresì che l’erronea interpretazione dell’art. 16 Reg. CE n. 1/2003 del Giudice di prime cure avrebbe portato ad un infondato rigetto della richiesta di esperire rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Chiede, pertanto, a questa Corte di sottoporre alla Corte di giustizia UE la risoluzione della questione dell’applicabilità o meno dell’art. 16 Reg. CE n. 1/2003 alle decisioni della Commissione adottate all’esito di una procedura di transazione ai sensi dell’art. 10-bis del Reg. CE n. 773/2004, così come modificato dal Reg. CE n. 622/2008. In subordine, chiede sia sollevata da questa Corte questione di legittimità costituzionale ex art. 134 Cost., al fine di verificare la compatibilità dell’interpretazione della normativa comunitaria sopracitata con i principi fondamentali del giusto processo di cui agli artt. 24, comma 2, e 111 Cost. (nonché all’art. 6 CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), chiedendo, in caso di accertato contrasto, l’attivazione dei “controlimiti”, arginando così i confini della penetrazione di dette norme europee nell’ordinamento nazionale.

3.3 CAVE MARMI VALLESTRONA s.r.l. si è costituita con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 19.3.2019, insistendo per il rigetto dell’appello.

3.4 La causa è stata decisa nella camera di consiglio del 07.11.19.

 

MOTIVI

 

4. I punti sui quali la Corte è chiamata a pronunciarsi sono i seguenti:

A) PRESCRIZIONE

B) INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI SETTLEMENT con particolare riferimento al DIRITTO DI DIFESA NEL PROCEDIMENTO DI SETTLEMENT

C) APPLICABILITÀ DELL’ART. 16 REG. CE N. 1/2003 CON RIFERIMENTO ALLE DECISIONI DI SETTLEMENT

 

I. PRESCRIZIONE

5. Il Giudice di prime cure ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta IVECO, odierna appellante, ritenendo che nessuno degli articoli di stampa e dei documenti prodotti dalla stessa fornisse prova di “una dettagliata, attendibile e specifica informazione di violazioni antitrust poste in essere dal convenuto dalle quali sia derivato un danno per l’attore” (pag. 9 della sentenza impugnata).

5.1 Con il primo motivo di appello, IVECO deduce che nelle ipotesi in cui il soggetto danneggiato non sia un consumatore, il dies a quo in questione vada individuato alla data di apertura dell’indagine da parte dell’Autorità antitrust, atteso il più alto grado di diligenza che è lecito attendersi da un professionista. Lamenta, pertanto, l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto la documentazione prodotta (relativa alla diffusione della notizia dell’apertura delle indagini da parte dell’Autorità garante della concorrenza del Regno Unito, nel settembre 2010, e della Commissione europea, nel gennaio 2011) inidonea a provare la circostanza che l’attore, odierno appellato, avesse avuto adeguata e completa conoscenza dell’evento dannoso perlomeno a partire dal settembre 2010, ovvero, comunque, dal gennaio 2011.

5.2 CAVE MARMI eccepisce l’infondatezza degli assunti avversari deducendo che non possono considerarsi idonee a far decorrere il termine di prescrizione in parola le notizie pubblicate sui quotidiani, prodotte da IVECO, in quanto le stesse fornivano solo generiche informazioni e non la certezza della violazione e del conseguente danno, tanto più alla luce della circostanza che il settore di commercio in cui opera CAVE MARMI (l’esercizio di cave di granito e marmo e lavorazione dei materiali estratti) è estremamente diverso da quello di IVECO.

6. Alla Corte è richiesto di individuare il dies a quo del termine prescrizionale di 5 anni di cui all’articolo 2947 c.c..

A tal fine, occorre procedere a una sommaria ricostruzione dei fatti di causa.

  • Cave Marmi Vallestrona s.r.l. ha effettuato l’acquisto dell’automezzo IVECO in data 14.10.08.
  • La Commissione Europea ha avviato il procedimento volto all’accertamento di una presunta attività anticoncorrenziale attuata dai costruttori MAN, VOLVO/RENAULT, DAIMLER, IVECO e DAF nel gennaio 2011, procedimento che si è concluso in data 19.07.16, con una decisione che ha accertato l’esistenza di accordi collusivi in materia di prezzi degli autocarri posti in essere dalle sopracitate imprese costruttrici.
  • In particolare, la Commissione Europea ha statuito che IVECO Magirus AG avesse direttamente partecipato a tale accordo fraudolento dal 26.06.01 al 18.01.11 ed ha, perciò, comminato una sanzione pari alla somma di euro 494.606.000,00, tenuto conto della riduzione del 10% della sanzione per la collaborazione con la Commissione.

Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, di cui all’art. 2947 c.c., si prescrive in cinque anni dal giorno in cui l’illecito si è verificato. Tale norma va interpretata in combinato disposto alla disposizione generale in tema di prescrizione, contenuta nell’articolo 2935 c.c., la quale stabilisce che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Dunque, il testo dell’art. 2947 c.c. deve essere letto ed interpretato compatibilmente al criterio di fondo che informa la disciplina codicistica della prescrizione, secondo il quale l’inerzia del titolare del diritto acquista significato solo di fronte alla possibilità di esercizio del diritto stesso, quando, cioè, l’atto di esercizio vale a soddisfare l’interesse tutelato.

Al contrario, non si può parlare di inerzia quando l’esercizio del diritto non è giuridicamente possibile, poiché, in questo caso, non si è neppure in presenza di un interesse insoddisfatto. L’istituto della prescrizione è, difatti, volto a reagire all’inerzia dei titolari di un diritto per adeguare una situazione di fatto a quella di diritto.

Ciò premesso, è necessario individuare quando, nel caso di specie, il diritto potesse essere fatto valere.

Nella fattispecie, infatti, il momento della causazione del danno ad opera di IVECO, danneggiante, ed il momento della percezione dello stesso da parte del danneggiato, Cave Marmi Vallestrona s.r.l., non coincidono, perchè tra loro si verifica uno stacco temporale. Per questa lunga latenza non si può incolpare d’inerzia il titolare del diritto al risarcimento poiché, al momento dell’inflizione del danno, questo non poteva esercitare il proprio diritto, considerato che, in conformità alla disposizione contenuta nell’art. 2935 c.c. e a consolidata giurisprudenza (Cass. n. 2305/2007; Cass. 9 maggio 2000 n. 5913; Cass. 28 luglio 2000 n. 9927 e Cass. 21 febbraio 2003 n. 2645, Cass. 26188/11, Cass. 10 dicembre 2013 n. 27527) la prescrizione decorre dalla percezione del danno e non dalla cessazione della condotta generatrice dello stesso.

Pertanto (ed in tal senso si veda Cass. 9 maggio 2000 n. 5913), è indispensabile che il titolare del diritto al risarcimento sia consapevole sia dell’esistenza di un danno, sia della sua ingiustizia.

Chiarito che il momento in cui tale diritto poteva essere fatto valere coincide con quello in cui il danno derivante dalla condotta illecita si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (in tal senso: Cass. n. 2305/2007; Cass. 9 maggio 2000 n. 5913; Cass. 28 luglio 2000 n. 9927 e Cass. 21 febbraio 2003 n. 2645 e Cass. Ordinanza n. 18176/2019), è necessario osservare che il titolare del diritto al risarcimento ha fatto riferimento, quale data in cui ha avuto piena certezza (e non mera presunzione) della violazione del diritto antitrust da parte di IVECO, al 19.07.16, data della decisione da parte della Commissione Europea; ciò in considerazione del principio secondo cui il termine di prescrizione inizia a decorrere solamente dal momento in cui il danno ingiusto è oggettivamente identificabile all’esterno (in tal senso Cass. n. 6921/2015).

Al contrario, IVECO sostiene che il dies a quo in questione vada individuato alla data di apertura dell’indagine da parte dell’Autorità antitrust dal gennaio 2011, se non dal settembre 2010, quando l’Autorità garante della concorrenza del Regno Unito (OFT) ha dato avvio ad un procedimento in merito alla presunta condotta anticoncorrenziale delle Case costruttrici.

La Corte osserva in tal senso che, notoriamente, i danni causati da comportamenti anticoncorrenziali sono caratterizzati da uno scollamento temporale tra il momento in cui l’illecito viene posto in essere e quello in cui viene percepito dal danneggiato. Infatti, le intese anticoncorrenziali sono di norma segrete tra le stesse parti dell’accordo illecito e non conosciute dagli altri soggetti del mercato. Allo stesso modo, non sono immediatamente percepibili dal mercato gli abusi di posizione dominante, in special modo le pratiche illecite in materia di prezzi, dove il discrimine tra un comportamento efficiente e un atto meramente emulativo dipende dai costi interni dell’impresa dominante.

Il problema è stato già affrontato dalla Cassazione, che ha fissato i principi per l’individuazione del momento di decorrenza della prescrizione nelle cause di risarcimento antitrust con la sentenza n. 2305/2007, già citata.

Pertanto, deve ritenersi condivisibile la decisione del Tribunale che ha individuato il dies a quo nel momento della decisione della Commissione Europea, posto che, essendo questo il principio generale di riferimento, era onere di IVECO provare che, ai fini della decorrenza, il momento in cui chi ha agito aveva avuto ragionevole percezione e contezza del danno subito e della sua ingiustizia, fosse un momento precedente a quello della citata decisione della Commissione.

Tuttavia, il convenuto in primo grado non ha provato tale effettiva conoscenza ma ha argomentato deducendo che Cave Marmi Vallestrona s.r.l., essendo un’impresa e non un consumatore, era perfettamente edotta del settore in cui opera IVECO essendo connesso e contiguo al proprio, pertanto, avrebbe potuto avere contezza delle indagini avendo una conoscenza approfondita del mercato rilevante. Ha, quindi, fatto riferimento alla giurisprudenza del Tribunale di Milano che interpreta il momento percettivo dell’illecito come quello in cui può ritenersi che la parte che lamenta il danno abbia potuto averne conoscenza soccorrendo anche alle notizie dei quotidiani o alla circolazione delle informazioni tra gli addetti al settore. (v. Tribunale di Milano, Sentenza 3 aprile 2014, n.4587 e Sentenza 15 ottobre 2014 n. 12043).

 

Sul punto, la Corte osserva quanto segue.

Anzitutto Cave Marmi Vallestrona s.r.l. è sì un’impresa ma opera in un settore estremamente diverso (cave di granito e marmo e lavorazione dei materiali estratti) da quello di IVECO (produttrice di autocarri e veicoli pesanti) e acquista autocarri poiché sono beni strumentali e accessori all’esercizio della propria attività.

Conseguentemente, dato che dell’avvio del procedimento da parte della Commissione è stata data pubblica notizia con comunicati stampa e riviste nel settore degli autotrasporti (doc.11, 12, 13, 14 fascicolo di primo grado parte IVECO), settore del tutto estraneo alla sfera del soggetto leso, questi non sono idonei a dimostrare che l’odierno appellato ne avesse avuto conoscenza.

Ulteriormente, queste notizie, come già rilevato dal primo Giudice, sono connotate da una certa genericità, poiché non fanno preciso riferimento a fatti, violazioni, provvedimenti. Tale genericità, pertanto, non può ricondurre la notizia del cartello intercorso tra IVECO e le altre imprese alla sfera di conoscenza di Cave Marmi Vallestrona s.r.l. o, quantomeno, IVECO ha omesso di darne prova. Si precisa in ultimo che, come si legge nei doc.11 e 12 già citati, le notizie si riferivano a “sospetti cartelli” che avrebbero reso un’eventuale azione dell’impresa lesa -prima della decisione della Commissione- del tutto aleatoria.

Dunque, prima della decisione della Commissione, non poteva ritenersi ragionevolmente conosciuta l’intesa illecita intercorsa tra le imprese da parte della generalità degli utenti, considerata la sua natura riservata e segreta tra i partecipanti al cartello e alle notizie generiche diffuse nel solo canale settoriale in cui operava IVECO.

Per completezza di esame, si aggiunga che le sentenze del Tribunale (est. Pres. M.A.Tavassi) citate dall’odierno appellante, Sentenza 3 aprile 2014, n.4587 e Sentenza 15 ottobre 2014 n. 12043, non posso ritenersi pertinenti al caso di specie poiché il contenzioso al quale si riferivano ha riguardato la complessa vicenda inerente al procedimento avviato dall’AGCM contro Wind, Telecom e Vodafone per un sospetto abuso di posizione dominante, e in tale specifico contesto si è instaurato il procedimento tra Fastweb e Vodafone.

Per quanto qui interessa, la domanda proposta avanti al Tribunale sopra citato non ha trovato accoglimento in quanto il giudice ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione sollevata da Vodafone, facendo decorrere il termine prescrizionale di cinque anni dall’avvio del procedimento dell’AGCM (dal provvedimento n. 14045 del 23 febbraio 2006). Tale data coinciderebbe con il momento percettivo dell’illecito, quando Fastweb avrebbe potuto aver coscienza di aver subito un danno. Ai fini di tale determinazione, nella sentenza è stato dato rilievo alle caratteristiche soggettive di Fastweb che, in quanto impresa attiva nel medesimo mercato del danneggiante ed essendo anche intervenuta nel procedimento dell’AGCM nel marzo 2005, non poteva essere ritenuta estranea alle dinamiche del mercato e ignara dell’esistenza del comportamento posto in essere dalle tre imprese di telefonia.

Il problema è stato già affrontato dalla Cassazione, che ha fissato i principi per l’individuazione del momento di decorrenza della prescrizione nelle cause di risarcimento antitrust con la sentenza n. 2305/2007.

Con la sentenza del 2007, la Suprema Corte, ribadendo che ai sensi del combinato disposto dagli art. 2934 e 2935 c.c. l’inerzia del titolare del diritto acquista significato ai fini della prescrizione solo di fronte alla possibilità di esercizio del diritto stesso, ha stabilito che nel caso dei danni causati da comportamenti anticoncorrenziale la percezione degli effetti della condotta anticompetitiva (ad esempio l’aumento del prezzo) non è sufficiente al soggetto danneggiato per esercitare il diritto al risarcimento, in quanto è indispensabile anche la coscienza dell’ingiustizia del danno. Nei casi di violazione della normativa antitrust la coscienza dell’ingiustizia del danno si verifica quando il soggetto danneggiato è stato adeguatamente e ragionevolmente informato circa il fatto che la perdita economica (rappresentata ad esempio dall’aumento dei prezzi pagati o dalla riduzione dei margini di guadagno) sia conseguenza dell’illecito anticoncorrenziale.

I danni antitrust appartengono, quindi, alla categoria dei danni lungolatenti allo stesso modo dei danni causati da malattia contratta per contagio per fatto di terzi sui cui la giurisprudenza di legittimità (Cass. 21 febbraio 2003, n. 2645), ha già avuto modi di esprimersi stabilendo che la prescrizione non decorre dal momento del contagio, né dal momento in cui la malattia si manifesta, ma dal momento in cui la malattia può essere percepita come conseguenza del comportamento colposo o doloso del terzo. L’accertamento del momento in cui il danno e la sua ingiustizia diventano conoscibili spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e coerentemente motivato.

Nelle sue successive sentenze (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26188 in Foro It., 2011, I, 2685richiamata anche in Cass. 22 maggio 2013, n. 12551) la Cassazione sviluppando i principi della sentenza del 2007 ha stabilito che nel caso del cartello delle assicurazioni il momento di esordio della prescrizione ha coinciso con la data di pubblicazione del provvedimento sanzionatorio. Prima di tale momento non poteva ritenersi conosciuta l’intesa illecita intercorsa tra le assicurazioni da parte della generalità degli utenti e dei consumatori, considerata la sua natura riservata e segreta tra i partecipanti al cartello.

In conclusione, questa Corte esclude la rilevanza dell’accostamento operato da IVECO tra quel contenzioso del Tribunale sopra richiamato e la fattispecie per cui è causa.

Tanto detto, la Corte rigetta il motivo di impugnazione del capo della sentenza n. 9759/18 che non ha accolto l’eccezione preliminare di merito sulla prescrizione.

 

II. INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI SETTLEMENT ed in particolare esercizio del DIRITTO DI DIFESA

7. Il Giudice di prime cure ha ritenuto che il procedimento di settlement assicuri ai soggetti interessati l’esercizio del diritto di difesa, consentendo agli stessi di effettuare una scelta consapevole, dopo avere conosciuto gli elementi di prova a loro carico, avere avuto accesso al fascicolo ed essendo stati messi in condizione di essere sentiti sugli addebiti, come del resto espressamente riconosciuto dalla convenuta al momento in cui ha formulato la proposta di transazione.

7.1. Con il secondo motivo di appello, IVECO lamenta l’erroneità della decisione del primo Giudice, deducendo che le garanzie poste a tutela delle imprese aderenti al procedimento di settlement non sono tali da assicurare il livello minimo di tutela previsto dall’art. 6 CEDU, nonché, dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, né tanto meno quelle offerte dalle autorità giudiziarie nazionali, atteso anche il carattere sostanzialmente penale del procedimento, nell’accezione autonoma di cui all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo. In particolare, costituirebbero compressioni del diritto di difesa: i) le modalità di comunicazione degli addebiti; ii) l’obbligatoria rinuncia alla richiesta di audizione orale; iii) la limitazione del diritto di accedere al fascicolo istruttorio. Deduce, pertanto, che “la scelta dell’impresa di accedere alla procedura di settlement, sulla base di un calcolo di mera convenienza, non può, chiaramente, significare che la stessa impresa acconsenta a che le stesse limitazioni nei propri diritti fondamentali spieghino parimenti effetto in un giudizio autonomo e diverso, quanto ai suoi presupposti e alle finalità, ossia nel giudizio civile in cui essa può essere chiamata a rispondere di una richiesta di risarcimento danni” (pag. 26 dell’atto di appello).

7.2. CAVE MARMI deduce che, ai sensi dell’art. 10-bis del Reg. CE n. 622/2008, la Commissione informa le parti che partecipano alla transazione circa gli addebiti, gli elementi probatori, e le versioni non riservate di qualsiasi specifico documento accessibile; che per garantire il diritto di difesa, la Commissione sente il punto di vista delle parti sugli addebiti mossi (considerando n. 2 del Reg. CE n. 622/2008) e sugli elementi di prova utilizzati prima di adottare una decisione definitiva e, perciò, le parti hanno diritto di accedere al fascicolo della Commissione; che qualora la Commissione si discosti dalla sua posizione iniziale, informa le parti per garantire loro il diritto alla difesa secondo le norme generali di procedura e le parti potranno accedere al fascicolo e chiedere un’audizione orale.

7.3. La Corte osserva quanto segue, l’istituto del settlement è stato introdotto nell’ordinamento comunitario con il Regolamento (CE) n. 622/2008 del 30 giugno 2008 che modifica il regolamento (CE) n. 773/2004 per quanto riguarda la transazione nei procedimenti relativi ai cartelli.

Il regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli 81 e 82 del trattato CE fissa le regole concernenti la partecipazione a detti procedimenti delle parti interessate.

Le parti del procedimento possono essere disposte a riconoscere la loro partecipazione a un cartello in violazione dell'articolo 81 del trattato e la loro responsabilità rispetto a detta partecipazione se possono ragionevolmente anticipare le previste conclusioni della Commissione quanto alla loro partecipazione all'infrazione e al livello delle ammende applicabili e condividere dette conclusioni. È opportuno che la Commissione possa rivelare alle parti, se del caso, gli addebiti che intende muovere nei loro confronti in base agli elementi di prova contenuti nel fascicolo e le ammende che rischiano di vedersi infliggere. Siffatta comunicazione nella fase iniziale dovrebbe permettere alle parti interessate di esprimere il proprio punto di vista sugli addebiti che la Commissione intende muovere nei loro confronti, nonché sulla loro potenziale responsabilità.

Quando la Commissione, nella comunicazione degli addebiti, rispecchia le proposte di transazione delle parti e le risposte di queste ultime confermano che la comunicazione degli addebiti corrisponde al contenuto delle loro proposte di transazione, la Commissione deve allora poter procedere all'adozione di una decisione ai sensi dell'articolo 7 e dell'articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003, previa consultazione del comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti ai sensi dell'articolo 14 del medesimo regolamento.

Conseguentemente, attraverso la procedura di settlement la Commissione e le imprese coinvolte in un procedimento antitrust possono addivenire ad un accordo al fine di definire celermente l’esito dell’istruttoria, come è stato nel caso di IVECO.

Sicuramente la circostanza che lo stesso organo di vertice del sistema antitrust comunitario assommi in sé forme di potestà normativa, inquirente e giudicante, deve essere oggetto di attenta analisi, soprattutto in relazione ai diritti delle parti e al rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Prima di procedere alla descrizione della procedura di settlment, la Corte osserva che IVECO ha deciso liberamente di aderire alla procedura di cui all’art. 10 bis del Regolamento CE n.773/2004 ammettendo la propria partecipazione al cartello e ottenendo, in questo modo, una riduzione del 10% sulla sanzione irrogatagli dalla Commissione.

In data 19 luglio 2016 la Commissione Europea, dopo avere avviato un procedimento ai sensi dell’art 11 paragrafo 6 Reg n 1/2003 nei confronti dei Iveco e di altre case produttrici, ha adottato una decisione a seguito di richiesta di transazione avanzata dalla convenuta in conformità all’art 10 bis paragrafo due, reg 773/2004.

Con tale decisione la Commissione ha accertato che “i destinatari della decisione hanno partecipato a una collusione e hanno responsabilità ad essa connesse, violando l’art 101 Trattato” durante i periodi che sono espressamente indicati. In particolare, ha accertato che “l’infrazione consisteva in accordi collusivi sulla fissazione dei prezzi e sugli aumenti dei prezzi lordi degli autocarri medi e pesanti; gli accordi riguardavano inoltre le tempistiche e il trasferimento dei costi relativi all’introduzione di tecnologie a basse emissioni per autocarri medi e pesanti richieste dalle norme da Euro 3 a Euro 6.

L’infrazione aveva interessato l’intero territorio del SEE ed era durata dal 17 gennaio 1997 al 18 gennaio 2011”.

La procedura di settlement è facoltativa per le parti che intendono aderirvi ed è sicuramente vantaggiosa per le imprese coinvolte, poiché permette una definizione celere della controversia e garantisce una riduzione della sanzione in caso di collaborazione; le parti decidono di aderire (o meno), effettuando una scelta consapevole dopo aver conosciuto gli elementi di prova a loro carico, avendo avuto accesso ai fascicoli ed essendo state messe in condizione di essere sentite sugli addebiti.

Nel caso di specie, l’appellante lamenta la compressione del proprio diritto di difesa nello svolgimento di tale transazione.

Questa Corte ritiene necessario, ai fini della decisione, analizzare le caratteristiche del procedimento in questione.

In primo luogo, all’avvio di una procedimento istruttorio volto ad accertare l’esistenza di un cartello, la Commissione, una volta raccolte evidenze probatorie sufficienti a supportarne l’esistenza, verifica l’interesse delle parti coinvolte ad aderire alla procedura e a tal fine concede alle parti interessate un termine entro il quale devono manifestare, per iscritto, la disponibilità a partecipare a discussioni tese all’eventuale presentazione di proposte di transazione in un momento successivo della procedura. In questa fase, le parti coinvolte non ammettono alcuna responsabilità o alcuna partecipazione all’infrazione.

In caso di risposta affermativa a tale invito, come è stato per IVECO, la Commissione da’ inizio alla procedura di settlement e, nell’ambito di tali discussioni, le parti -come indicato al paragrafo 16 della Comunicazione- vengono informate in merito agli “elementi essenziali” quali “i fatti contestati, la loro classificazione, la gravità e durata del presunto cartello, l’imputazione della responsabilità, una stima della forcella delle ammende applicabili, nonché gli elementi probatori utilizzati a sostegno dei potenziali addebiti”.

Già in questa fase preliminare si osserva una forma di tutela rinforzata in capo alle parti che devono ottenere le informazioni essenziali volte alla conclusione di una eventuale transazione.

Conseguentemente, raggiunta un’intesa comune sugli addebiti, la Commissione fissa un termine entro il quale le parti possono formalizzare una proposta definitiva di transazione. In tale proposta, si sottolinea, esse devono: A- riconoscere la propria partecipazione e responsabilità nell’illecito, che dovrà essere sinteticamente descritto; B- fornire un’indicazione dell’importo massimo della sanzione che accetterebbero di corrispondere; C- confermare di essere state sufficientemente informate in merito agli addebiti che la Commissione intende muovere nei loro confronti e di aver avuto la possibilità di esprimere il proprio punto di vista nell’ambito delle precedenti fasi della procedura;

Di rinunciare a determinati diritti quali l’accesso agli atti nel fascicolo e la possibilità di essere sentiti in audizione, posto che questi si riacquisiscono se la comunicazione degli addebiti non riflette il contenuto della proposta di transazione (v. par. 20 della Comunicazione).

Sul punto, è chiaro che la procedura sia caratterizzata dalla volontà di definire la controversia il più celermente possibile e le rinunce siano dettate dalla necessità di rendere tale procedura scorrevole in caso di concordanza tra la parte e la Commissione.

A garanzia dei diritti di difesa, poi, prima della decisione definitiva, la Commissione è tenuta a sentire le argomentazioni delle parti in relazione sia agli addebiti mossi nei loro confronti sia alle evidenze probatorie utilizzate a supporto della tesi accusatoria e, in qualsiasi momento della procedura di transazione, le parti possono rivolgersi al consigliere in merito a qualsiasi questione inerente al principio del giusto processo. (v. par. 18 della Comunicazione)

Ulteriormente, proprio a supporto dell’effettivo esercizio di difesa, nel caso in cui la Commissione decida di adottare una posizione definitiva che differisce da quella espressa nella comunicazione degli addebiti, deve informare le parti e, in considerazione di questa eventualità, le parti avranno diritto di accesso alla documentazione contenuta nel fascicolo istruttorio, nonché, di chiedere un’audizione per rispondere alla comunicazione degli addebiti. (v. par. 29 della Comunicazione) Infine, le decisioni definitive adottate dalla Commissione in applicazione del Reg 1/2003 sono soggette al controllo giurisdizionale.

Tanto premesso, alla luce della disciplina generale, dai documenti prodotti da IVECO in primo grado rispetto alla procedura di settlement, (si veda in particolare il doc. 26 e 26 bis) risulta che: “i Destinatari hanno avuto accesso al file completo della Commissione” e “durante tali incontri, ogni

Destinatario ha espresso la propria opinione circa gli addebiti formulati dalla Commissione contro di loro. I commenti dei Destinatari sono stati attentamente presi in considerazione e, laddove appropriato, ne è stato tenuto conto” Inoltre, ogni Destinatario conferma di aver avuto sufficienti opportunità per esporre i propri pareri alla Commissione” e che “gli siano state fornite dalla Commissione tutte le informazioni necessarie per permettergli di prendere una decisione informata sul se accordarsi o meno.”

Avendo esaminato i passaggi fondamentali della procedura di settlement, questa Corte osserva come, nella fattispecie per cui è causa, le doglianze di parte appellante, con particolare riferimento alla compressione del proprio diritto di difesa per i) le modalità di comunicazione degli addebiti; ii) l’obbligatoria rinuncia alla richiesta di audizione orale; iii) la limitazione del diritto di accedere al fascicolo istruttorio, risultino infondate poiché (oltre ad essere piuttosto generiche e non sufficientemente circostanziate), il procedimento transattivo ha realizzato le garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU e si è concluso con una decisione, emessa ex artt.7 e 23 del Regolamento CE 1/2003.

Occorre sottolineare che tale decisione è soggetta a controllo giurisdizionale. Nella fattispecie, la parte appellante ha consapevolmente rinunciato a tale sindacato: IVECO aveva diritto e facoltà di impugnare la decisione ma ha prestato acquiescenza alla stessa; con tale comportamento l’appellante ha ammesso non solo la propria partecipazione alla condotta illecita ma anche la propria responsabilità nella commissione dello stesso con piena cognizione di ogni suo elemento ed, implicitamente, ha confermato il rispetto di ogni garanzia nella svolgimento della transazione.

Si veda in tal senso il principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale secondo il quale gli Stati possono scegliere se realizzare le garanzie del giusto processo, in conformità all’art.

6 CEDU, già nella fase amministrativa, o mediante assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato dall’autorità amministrativa ad un sindacato giurisdizionale pieno nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie di un giusto processo. (cfr. Cass. Sez. Unite 30.09.09 n. 20935).

In forza di quanto sopra detto, non assumono rilievo le doglianze di parte appellante aventi ad oggetto le lamentate violazioni e compressioni del suo diritto di difesa durante il procedimento di settlement.

 

III. APPLICABILITÀ DELL’ART. 16 REG. CE N. 1/2003 CON RIFERIMENTO ALLE DECISIONI DI SETTLEMENT

Il Giudice di prime cure ha ritenuto applicabile alle decisioni di settlement il disposto dell’art. 16, primo comma, Reg. CE n. 1/2003 a norma del quale “quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni, pratiche ai sensi dell’art. 81 o 82 del trattato (ora 101 e 102 TFUE) che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati …”.

Accertato che il procedimento amministrativo che ha condotto all’emanazione del suddetto provvedimento del 19.7.2016 ha realizzato le garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU e si è concluso con una decisione, emessa ex artt. 7 e 23 Reg. CE n. 1/2003, assoggettabile ad un sindacato giurisdizionale a cui la parte ha consapevolmente rinunciato, il Tribunale ha dunque disatteso le istanze di sospensione, per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE, ovvero per proporre incidente di costituzionalità, formulate da IVECO con riferimento all’art. 16 del Reg. CE n. 1/2003.

8.1. Sempre con il terzo motivo di appello, IVECO lamenta che la ritenuta vincolatività per il giudice nazionale dell’accertamento dell’infrazione compiuto dalla Commissione Europea, benché quest’ultima svolga, nell’ambito dell’applicazione del diritto antitrust, funzioni proprie di un’autorità amministrativa, si pone in contrasto: a) con il principio di netta separazione tra le competenze degli organi amministrativi e del potere giudiziario ex artt. 101 e 102 Cost., b) con principio in base al quale “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, di cui all’art. 101, comma secondo, Cost., c) con il diritto alla difesa garantito dall’art. 24, comma secondo, Cost., d) con il principio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, di cui all’art. 104 Cost., e) con i principi del giusto processo e del pieno contraddittorio tra le parti, di cui all’art. 111 Cost..

In particolare, IVECO deduce che affinché il giudice del risarcimento sia vincolato da una decisione amministrativa occorre che essa sia frutto di un procedimento di cognizione piena e che nei suoi confronti l’organo giurisdizionale abbia modo di svolgere un controllo pieno e intrinseco in linea con i principi della nostra Costituzione, con le norme dell’Unione (Carta dei diritti fondamentali) dotate di efficacia diretta e con l’art. 6 CEDU. Al contrario, secondo tesi:

  • la decisione di settlement non è espressione di una valutazione approfondita e di cognizione piena;
  • la Commissione Europea non può essere ritenuta un soggetto terzo, imparziale e neutrale, ai sensi della CEDU e della Carta costituzionale;
  • non è garantito alcun vaglio giurisdizionale successivo della decisione della Commissione;

8.2.  CAVE MARMI contesta la fondatezza delle deduzioni avversarie richiamando, sul punto, le motivazioni della sentenza.

8.3. La Corte osserva quanto segue.

La disposizione di cui all’art. 16 Regolamento CE 1/2003 prevede un meccanismo che mira ad evitare pronunce confliggenti tra le autorità, le giurisdizioni e la Commissione, in recepimento della giurisprudenza comunitaria.

Il capitolo IV del Regolamento n. 1/2003 stabilisce che la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri applicano le regole di concorrenza comunitarie in stretta collaborazione e che le stesse hanno la facoltà di scambiare ed utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto comprese le informazioni riservate.

Relativamente alla cooperazione fra la Commissione e le Autorità garanti degli Stati membri viene stabilito dall’art. 11 del Regolamento che la Commissione fornisce a tali Autorità, su richiesta di queste ultime, copia di tutti i documenti necessari alla valutazione della pratica trattata e dei documenti raccolti ai fini dell’applicazione degli articoli 7 (constatazione ed eliminazione delle infrazioni), 8 (misure cautelari), 9 (impegni), 10 (constatazione di inapplicabilità) e 29 (ammende).

A loro volta le Autorità, quando agiscano ai sensi dell’art. 81 e dell’art. 82 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, devono informare per iscritto la Commissione prima o immediatamente dopo l’avvio della prima misura formale di indagine. Inoltre, le Autorità possono consultare la Commissione su qualsiasi caso che implichi l’applicazione del diritto comunitario.

In relazione ai rapporti tra giudizio civile e procedimento della Commissione europea, l’art. 16 del Regolamento n. 1/2003 prevede espressamente che “quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 o 82 del Trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all’articolo 234 del Trattato”.

Sotto il profilo sostanziale, dunque, la norma esclude la possibilità per il giudice nazionale di giungere a conclusioni differenti rispetto a una decisione già adottata della Commissione.

Il principio era già stato affermato dalla Corte di giustizia (v. Sentenze Corte giust., Masterfoods, CIA International, C- 194/94 e Delimitis, C-234/89), secondo la quale i giudici nazionali quando “si pronunciano su accordi o pratiche che sono già oggetto di decisione da parte della Commissione, non possono adottare decisioni in contrasto con quella della Commissione”

Imponendo ai giudici nazionali il rispetto delle decisioni della Commissione, viene fortemente limitata la giurisdizione del giudice ordinario, attribuendo peraltro alle decisioni della Commissione un effetto più ampio di quello prospettato dal Trattato che ne prevede il carattere vincolante soltanto per i destinatari.

Tale limitazione del potere di decisione della controversia dei giudici nazionali ha suscitato dubbi circa la compatibilità dell’art. 16 con la Costituzione, risultando in tal modo le autorità giudiziarie vincolate alle decisioni di un organo amministrativo.

Secondo questa tesi, infatti, il giudice italiano è “soggetto soltanto alla legge” ai sensi dell’art. 101, 2° comma, della Costituzione e non a provvedimenti presi da autorità amministrative, anche comunitarie.

Tali dubbi devono essere superati, sul presupposto che il Trattato CE ha attribuito alla Commissione la competenza di definire i principi sanciti dagli articoli 81 e 82 CE

Sempre in tal senso, deve essere rilevato che il Regolamento n. 1/2003 rappresenta senz’altro un atto vincolante che, attribuendo espressamente alle decisioni della Commissione il medesimo valore, svolgerebbe un ruolo assimilabile a quello di una “norma in bianco, integrata di volta in volta nel contenuto dalla decisione della Commissione”.

Il divieto di pronunciarsi in modo non conforme a una decisione della Commissione risulta comunque contemperato dalla facoltà concessa al giudice nazionale, qualora nutra dubbi in merito alla decisione della Commissione, di proporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. In tal modo, pertanto, il giudice nazionale non risulterebbe vincolato dalla decisione adottata da un organo amministrativo quanto, esclusivamente, dalla pronuncia della Corte in merito.

In conclusione, secondo questa Corte, una volta adottata la decisione della Commissione questa ha efficacia vincolante sui giudici nazionali che devono pronunciarsi ex artt. 81 e 82 (ora 101 e 102 TFUE) sugli stessi accordi e soggetti, per gli stessi fatti.

A ciò si aggiunga quanto risulta dal doc. 26 e 26 bis prodotto da IVECO nel fascicolo di primo grado: a titolo esemplificativo, a pagina 13 del predetto documento, ove viene descritta la procedura adottata dalla Commissione, si legge che «i Destinatari hanno avuto accesso al file completo della Commissione» e «Durante tali incontri, ogni Destinatario ha espresso la propria opinione circa gli addebiti formulati dalla Commissione contro di loro. I commenti dei Destinatari sono stati attentamente presi in considerazione dalla Commissione e, laddove appropriato, ne è stato tenuto conto». Inoltre, ogni destinatario conferma «di aver avuto sufficienti opportunità per esporre i propri pareri alla Commissione» e che «gli siano state fornite dalla Commissione tutte le informazioni necessarie per permettergli di prendere una decisione informata sul se accordarsi o meno».

Si ricorda, inoltre, che i principali mezzi di prova sono costituiti dai documenti presentati da Iveco spa (oltre alle altre parti), dalle dichiarazioni aziendali e dai documenti acquisiti dalla Commissione durante l’ispezione.

Inoltre, a pagina 36 del documento 26 bis (prodotto dall’appellante nel fascicolo di primo grado), si legge anche che Iveco spa ha fornito le “presentazioni che i concorrenti si scambiavano durante tali riunioni”. Ciò costituisce, in ogni caso, prova che IVECO ha partecipato attivamente al cartello.

Nell’ordinamento italiano, fino all’adozione del decreto legislativo 3/2017, non esisteva alcuna previsione normativa sull’efficacia delle decisioni dell’AGCM.

Peraltro, a partire dal 2009 si è sviluppato un orientamento giurisprudenziale in base al quale la decisione dell’Autorità che constata l’infrazione costituisce, rispetto ai giudizi successivi, “prova privilegiata” della sussistenza del comportamento accertato, con riferimento alla ricostruzione dei fatti e alla qualificazione di antigiuridicità della condotta. Questo approccio assegna un valore probatorio particolarmente pregnante al provvedimento amministrativo in ragione dell’autorevolezza dell’autorità emanante e degli strumenti e modalità di indagine da essa utilizzati, senza però compromettere l’indipendenza di valutazione del giudice e senza precludere all’impresa convenuta di argomentare in senso contrario. Si veda in tal senso la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civ., 13 febbraio 2009, n. 3640.

In alcune pronunce successive la Corte ha specificato che il ruolo di “prova privilegiata” della decisione amministrativa, pur non precludendo la facoltà per l’impresa convenuta in giudizio di fornire la prova contraria dei fatti accertati, impedisce che possano rimettersi in discussione i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione in base allo stesso materiale probatorio o alle stesse argomentazioni già disattesi in sede di procedimento davanti all’autorità di concorrenza (cfr. Corte di cassazione, sez. III civ., 20 giugno 2011, n. 13486).

Ciò posto, la Corte osserva che, nella fattispecie di cui è causa, come motivato al punto precedente, la procedura di settlement si è conclusa con una decisione a norma degli articoli 7 e 23 del Regolamento CE 1/2003 nel rispetto del giusto processo a norma dell’art. 6 CEDU che non è stata oggetto di impugnazione da parte dell’odierno appellante.

Ciò considerato, la doglianza di IVECO in merito all’inefficacia della decisione della Commissione sul giudizio nazionale e la derubricazione di tale pronuncia da “prova privilegiata” a “prova valutabile insieme alle altre prove”, non può trovare accoglimento.

Pur non avendo la prima decisione valore vincolante, l’illecito per cui IVECO è stato sanzionato non è mai stato contestato, né nel procedimento avanti alla Commissione, né a quello avanti al Tribunale, né in quello dinnanzi a questa Corte, e ciò non può essere ignorato dal Collegio.

Pertanto, il concludente valore probatorio dell’accertamento dell’illecito non deriva tanto dalla decisione della Commissione in sé, quanto dall’istruttoria che ha condotto a tale pronuncia, caratterizzata dalla totale collaborazione di IVECO, sino alla sanzione ed alla sua condotta successiva.

Nella fattispecie per cui è causa - considerando o meno la pronuncia quale “prova privilegiata”- era, comunque, ammessa prova contraria e tale prova è in ogni caso mancata.

Dunque, alla luce di tali considerazioni, la Corte ritiene che non assuma rilevanza la doglianza di parte appellante avente ad oggetto i limiti del sindacato del giudice dell’Unione in quanto IVECO ha rinunciato consapevolmente al suo diritto ad impugnare la decisione amministrativa ed ha esercitato il proprio diritto di difesa con cognizione piena di ogni elemento del procedimento svoltosi dinnanzi la Commissione.

9. Tanto premesso e considerato in ordine alla valenza della decisione presa della Commissione e alle motivazioni esposte al capo III; considerato che non vi è violazione dei diritti di difesa e del contraddittorio, come argomentato al capo II, la Corte disattende le richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e di incidente di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale avanzate da IVECO.

10. Per tutti i motivi di cui sopra, la sentenza del Tribunale di Milano deve essere integralmente confermata nei termini di cui al dispositivo e per i motivi di cui sopra.

11. Le spese di lite del grado d’appello, liquidate come in dispositivo in applicazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e successive modifiche, seguono la soccombenza, che è totale in capo a IVECO.

12. Sussistono, inoltre, i presupposti di cui all’art. 13 co. 1-quater, di cui al D.M. 115/2002 per ritenere l’appellante tenuta al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello già versato per la presente impugnazione.

 

P.Q.M.

La Corte

nella causa d’appello tra IVECO S.P.A. e CAVE MARMI VALLESTRONA S.R.L.,

I. rigetta l’appello di IVECO S.P.A. e conferma la sentenza n. 9759/2018 del Tribunale di Milano;

II. condanna IVECO S.P.A. al pagamento delle spese di lite in favore di CAVE MARMI VALLESTRONA liquidate in complessivi € 3.500,00, oltre rimborso spese forfettarie, nella misura del 15%, IVA, e CPA, come per legge.

Sussistono i presupposti di cui all’art. 13 co. 1-quater, di cui al D.M. 115/2002, in capo alla parte appellante.

 

Così deciso in Milano, il 7.11.2019

Il Consigliere relatore - Maria Elena Catalano

Il Presidente  - Carla Romana Raineri